Il giornalista ripercorre la saga dei gioiellieri resi celebri dal film con Audrey Hepburn

La storia di una famiglia che parla del sogno americano, di talento e di gioielli iconici. E persino di psicoanalisi. ‘Tiffany. Biografia romanzata di una famiglia geniale’, uscito per i tipi di tab edizioni, e’ l’ultimo libro di Andrea Pamparana, giornalista, scrittore e sceneggiatore. Vicedirettore del TG5 dal 2000 al 2016, curatore della rubrica L’indignato speciale.

Charles Lewis Tiffany (1812-1902) non è stato solo un famoso gioielliere statunitense, ma un simbolo dell’american dream. Dal piccolo negozio di Brooklyn aperto a soli 25 anni grazie ai soldi del padre, alla proclamazione da parte del «New York Times» a Re dei diamanti in appena un decennio, la vita dell’inventore del Blue Book, dell’iconica Blue Box e dell’anello di diamanti come simbolo d’amore si intreccia a quella di suo figlio Louis Comfort (1848-1933), acclamato come miglior designer americano tra la fine dell’Ottocento e i primi del Novecento per i suoi vetri, le lampade e le sue creazioni Art Nouveau. Tiffany, che oggi è di Lvmh, del Gruppo Arnault, è molto più che un marchio di gioielli: e’ un protagonista iconico di oltre un secolo e mezzo di storia del costume. Charles Lewis Tiffany, che ha inventato l’anello di fidanzamento, il Tiffany setting, è stato un grande uomo di marketing: basti pensare a quella scatolina, del colore denominato appunto azzurro Tiffany, intramontabilmente iconica.

Pamparana – intervistato da LaPresse – fa capire bene il genio di Charles Lewis Tiffany: “E’ l’ inventore del primo catalogo per corrispondenza, e da allora ogni anno Tiffany pubblica il blue book che le signore e i signori possono sfogliare per scegliere un gioiello. Inoltre, nessuno potrà mai andare in un negozio Tiffany a chiedere uno sconto. Lo sconto è una parola che Charles Lewis proibì nei suoi negozi in tutto il mondo, il prezzo doveva farlo il mercato”.

Sempre il fondatore di Tiffany, “quando viene realizzato il cavo transoceanico fra Londra e New York, si fece dare dalla casa produttrice alcuni chilometri di cavo e se lo fece tagliare della misura di un sigaro Havana. E poi mise questi pezzi in una scatola di legno con una fascetta di bronzo con su scritto ‘cavo transoceanico garantito dalla gioielleria Tiffany di New York’. Non un oggetto prezioso, eppure ne vendette migliaia di scatole”.

Poi il potente immaginario creato da Tiffany e dai suoi gioielli ha ‘gemmato’ un nuovo immaginario con il libro e poi con il film ‘Colazione da Tiffany’. Nel 1958 lo scrittore americano Truman Capote pubblicò ‘Colazione da Tiffany’. Tre anni dopo il regista Blake Edwards porto’ sullo schermo la vicenda della protagonista Holly, interpretata da Audrey Hepburn.

Pamparana sottolinea il lato divertente della leggenda che ne è scaturita. “Quante persone quando vanno a New York pensano di poter andare a fare colazione da Tiffany e di trovarvi un ristorante? Per fare proprio quella ‘colazione da Tiffany’ che nel film era invece la scena in cui Audrey Hepburn davanti alla vetrina sorseggia un caffè e mangia un biscotto al burro danese ferma al numero 727 della Fifth Avenue, indossando un tubino nero disegnato da Hubert de Givenchy, occhiali da sole di Oliver Goldsmith e una collana di perle, che però non era di Tiffany, come si potrebbe pensare, ma di un noto designer dell’epoca, Roger Scemama”. Una colazione all’alba in una meravigliosa New York quella che Audry consuma davanti alla vetrina di Tiffany, definendolo “ilmiglior posto del mondo, dove non ti può accadere nulla di brutto”.

La società, che allora non era più della famiglia Tiffany, diede la possibilità di girare nel negozio di New York solo la domenica mattina, perché era chiuso al publico. Inoltre quel giorno nella Grande Mela arrivava Nikita Cruschev, il leader dell’Unione Sovietica, che doveva andare all’Onu. “E le riprese da Tiffany – racconta l’autore – furono fatte in poco tempo perché occorreva fare in fretta per lasciare sgombra la strada nel pomeriggio”.

Pamparana riconosce nel sogno americano di Tiffany un tocco di italianità: “Lewis che sistema nella vetrina della sua bottega le chincaglierie arrivate al porto di New York ci riporta all’immagine di Giorgio Armani che nella vetrina del suo show room sistema il manichino con l’ultima creazione”. Tiffany ha delle caratteristiche tipiche dell’imprenditorialità italiana, “ma – aggiunge lo scrittore e giornalista – “in fondo assomiglia anche a certe storie di ragazzi di bottega francesi che hanno avuto una idea geniale e la fortuna di trovare chi all’inizio li finanzia, ma anche la capacità di circondarsi di collaboratori abili. Come fece Charles Lewis Tiffany col gemmologo George Frederich Kunz che assunse a 23 anni e che divenne un professionista di fama mondiale”.

E la vicenda della famiglia Tiffany ha in serbo altre sorprese. Gioielli e psicoanalisi nel libro di Pamparana trovano infatti un filo che le unisce. La figlia di Louis Comfort, Dorothy, appassionata di psicologia, andò a Vienna dove conobbe Sigmund Freud e la figlia Anna Freud, anche lei psicoanalista. Ne nacque un’amicizia e un sodalizio intellettuale. “Anna Freud – racconta l’autore – e’ sepolta accanto a Dorothy al cimitero a Londra. E proprio in certi ambienti londinesi si vociferava di un legame omosessuale tra Anna e Dorothy, circostanza però sempre smentita dall’erede dei Tiffany.

Ma la storia del genio della famiglia Tiffany in era di pandemia che significato assume? “Quando si parla di lusso – fa notare Pamparana- si pensa sempre a qualcosa di esclusivo e di molto caro”. “Ma proprio Audrey Hepburn, ringraziando la società’ Tiffany, alla fine delle riprese, cita una frase di John Keats ‘una cosa bella e’ una gioia per sempre’. E – aggiungo – lo è anche se non di grande valore economico”, è la riflessione di Pamparana, che non fa mistero del fatto che ama regalare gioielli Tiffany alla propria compagna. “Ora – conclude l’autore – c’è tanta voglia di uscire dalla pandemia e in questa situazione tutto ciò che brilla può essere di grande aiuto”.

 

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