Omicidio Mollicone, al via l’appello bis: l’accusa chiede di sentire 50 testimoni

Omicidio Mollicone, al via l’appello bis: l’accusa chiede di sentire 50 testimoni

La studentessa fu uccisa ad Arce nel 2001

Un processo bis di secondo grado che si preannuncia un botta e risposta su pareri scientifico-forensi. Ma non solo. Verranno riesaminate le dichiarazioni di alcuni testimoni, tra cui quella di Carmine Belli, arrestato inizialmente del delitto e poi assolto. È iniziato oggi, presso la terza Corte d’Assise d’Appello di Roma, il nuovo processo per l’omicidio di Serena Mollicone, la studentessa di Arce trovata morta nel giugno del 2001. Un procedimento bis, disposto dopo la decisione della Corte di Cassazione che, a marzo scorso, ha annullato l’assoluzione di Franco Mottola, ex comandante dei carabinieri di Arce, di sua moglie Annamaria e del figlio Marco. Secondo la Suprema Corte, le motivazioni dell’assoluzione erano insufficienti e non affrontavano i punti critici emersi già nel primo grado.

Il nodo della dinamica dei fatti

Per l’accusa, Serena fu aggredita nella caserma dei carabinieri durante una lite violenta con Marco Mottola. Un colpo alla testa le avrebbe fatto perdere i sensi. Successivamente, sarebbe stata legata e abbandonata nel bosco di Fonte Cupa, dove fu trovata due giorni dopo. La Cassazione ha definito questa ricostruzione “plausibile”, ma da approfondire. La precedente Corte d’Appello, invece, si sarebbe limitata a elencare incongruenze senza proporre alternative credibili. Un elemento chiave saranno le dichiarazioni del brigadiere Santino Tuzi, mai confermate in aula a causa del suo suicidio nel 2008. Tuzi riferì di aver visto Serena entrare in caserma la mattina del 1 giugno 2001, senza mai vederla uscire. La sua dichiarazione è ritenuta fondamentale da molti legali delle parti civili. La figlia del brigadiere, Maria Tuzi, ha commentato: “La figura di mio padre è centrale. Ci sono altri testimoni che confermano le sue parole. La sua inattendibilità è tutta da dimostrare”.

Presenti in aula anche alcune realtà simbolo della lotta alla violenza, come le attiviste del Telefono Rosa di Frosinone, che sono state in aula con le magliette che riportavano lo slogan “Stop violenza sulle donne”, visibile anche su uno striscione all’ingresso del tribunale di piazzale Clodio. Tra il pubblico, anche Alessandra Verni, madre di Pamela Mastropietro, uccisa e fatta a pezzi nel 2018, che ha dichiarato: “Sono qui per solidarietà. Vogliamo creare una rete di sostegno tra famiglie colpite da crimini violenti”.

L’udienza

Durante la prima udienza, la Procura generale ha avanzato richieste precise: ascoltare oltre cinquanta testimoni, tra cui consulenti e periti, e disporre una nuova perizia sul foro presente in una porta della caserma di Arce. Questo dettaglio potrebbe essere compatibile, secondo l’accusa, con un colpo sferrato dalla vittima durante un tentativo di difesa. In primo grado, Franco Mottola dichiarò che quel foro era stato provocato da lui con un pugno sferrato di piatto sull’uscio di legno. Il pg ha chiesto di verificare la compatibilità tecnica con questa versione. L’avvocato Sandro Salera, parte civile in rappresentanza di Consuelo Mollicone, sorella della vittima, ha sottolineato la necessità di rivalutare l’attendibilità delle parole di Santino Tuzi e di ascoltare il maresciallo Gabriele Tersigni. La Corte si è riservata di decidere su queste richieste, rinviando ogni valutazione al 19 novembre, data in cui verrà stilato anche il calendario delle udienze, che potrebbe estendersi fino a fine primavera del 2026. Di tutt’altro avviso i legali dei Mottola. “Siamo certi dell’innocenza dei nostri assistiti” ha dichiarato l’avvocato Francesco Maria Germani. “La giustizia è lenta, ma per noi è già arrivata due volte”. La difesa continua a sostenere che non vi siano prove concrete contro i tre imputati. Non smette di lottare per la verità è Consuelo Mollicone, sorella di Serena; “Gli ultimi 25 anni hanno pesato molto,” ha detto. “Ma non ci arrendiamo. Mio padre ci ha sempre insegnato a cercare la verità. Questa non è solo una battaglia personale, è una questione di giustizia”.

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