Perché, quando il brigadiere dei Carabinieri Santino Tuzi, il primo giugno del 2001, venne a sapere dal padre di Serena Mollicone che la figlia non era tornata a casa, “la prima cosa che gli viene in mente da dire non è: ‘Io stamattina l’ho vista qua‘?. Io penso che sia una cosa istintiva e normale. Oppure, esco di servizio col collega e gli dico: ‘Oh, stanno cercando questa ragazza e io l’ho vista qua’. Invece non ha avuto nessuna reazione, né quando è entrato né durante tutto l’arco del servizio. Poi sono usciti con me e siamo andati a casa di Mollicone per cercare tracce, perché al momento non si ipotizzava niente di così tragico, e lui stava lì, zero. Poi dopo sette anni esce fuori: ‘Io quella mattina l’ho vista’. Ora fatevi voi un’idea della sua attendibilità”. Così il maresciallo Franco Mottola, ex comandante della stazione dei carabinieri di Arce, in conferenza stampa a Roma dopo la sentenza della Cassazione che ha annullato la sua assoluzione – insieme a quelle del figlio Marco e della moglie Annamaria – per l’omicidio di Serena Mollicone, disponendo un nuovo processo d’appello nei loro confronti. I tre sono accusati di omicidio volontario e occultamento di cadavere per la morte della 18enne uccisa ad Arce nel giugno 2001 e ritrovata morta nel bosco di Fonte Cupa, in località Fontana Liri. Le sue parole si riferiscono alla testimonianza del brigadiere Tuzi, che nel 2008 riferì agli inquirenti di aver visto la vittima entrare nella caserma dei Carabinieri di Arce la mattina della sua scomparsa, senza però notarla uscire. Una dichiarazione che ha contribuito a focalizzare l’attenzione degli investigatori sulla caserma come possibile luogo del delitto. Pochi giorni dopo averla resa, Tuzi fu trovato morto suicida.

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