E' il dato che uno studio legale meneghino ha raccolto sulle inchieste nate da proteste sindacali. L'avvocato Losco: "Sto seguendo 300 procedimenti ancora aperti"
Trecento procedimenti penali “ancora in corso” con circa “3mila” fra lavoratori e sindacalisti indagati o imputati per scioperi e proteste sindacali. E’ il dato che un solo studio legale di Milano ha raccolto sulle inchieste nate da proteste sindacali soprattutto nella logistica nel nord Italia. “Sto seguendo 300 procedimenti ancora aperti”, spiega l’avvocato Eugenio Losco che con i colleghi Mauro Straini e Gianluca Castagnino dal 2016 si è specializzato nelle difese di operai ed esponenti dei sindacati di base nel settore del magazzinaggio e trasporto merci, finiti a processo nei tribunali di Milano, Piacenza, Bologna, Alessandria, Pavia, Brescia, Novara, Mantova, Cremona, Bergamo. Processi che “nella maggioranza dei casi” si concludono con “giudizi assolutori” ma gli “iscritti al sindacato” vengono comunque colpiti nel corso delle indagini da “provvedimenti amministrativi” per “impedirgli di svolgere la loro attività sindacale”. Come “avvisi orali del Questore, fogli di via”.
Il luogo dove ciò è avvenuto è Piacenza. Proprio nella capoluogo di provincia emiliano venerdì all’Auditorium Sant’Ilario si terrà il convegno ‘Lotta sindacale: diritto o delitto?’ organizzato dall’associazione di giuslavoristi Comma 2, nata nel 2017, e con 400 avvocati e giuristi iscritti in tutta Italia. L’ultimo caso – non conteggiato nelle cifre fornite dallo studio legale – riguarda le proteste dell’autunno 2023 contro la chiusura di un magazzino Leroy Merlin. La multinazionale al termine della vertenza con il Si Cobas di Piacenza ha ritirato le querele contro lavoratori e sindacato ma il 12 novembre a 19 lavoratori è arrivato l’avviso di conclusione indagini preliminari con accuse di violenza privata e sabotaggio. Secondo il capo d’imputazione dei pm Matteo Centini e la procuratrice Grazia Pradella l’aver svolto “attività di volantinaggio” fuori da un punto vendita e caricato i “carrelli” di “merce” prelevata dagli “scaffali” per poi abbandonarli lungo la “corsia di vendita” e “impedire il normale svolgimento del lavoro” ha recato “minaccia” a causa della “suggestione emotiva di una folla in tumulto che inneggia ad una forte protesta”.
La vicenda più celebre riguarda invece l’ipotesi di due associazioni a delinquere dentro ai sindacati Usb e Si Cobas che, sempre a Piacenza, avrebbero “coagulato un bacino” di lavoratori “di origine straniera” da “strumentalizzare” con l’obiettivo di “conquistare i magazzini”. Dopo gli arresti del luglio 2022 – revocati dal tribunale del riesame e dalla Cassazione – a marzo di quest’anno la Procura ha chiuso le indagini preliminari con 83 capi d’imputazione di associazione, violenza privata, resistenza a pubblico ufficiale, manifestazione non autorizzata, interruzione di pubblico servizio, sabotaggio ed estorsione. Per gli inquirenti le sigle di base avrebbero “svolto numerose vertenze” per “migliorare le condizioni di lavoro dei facchini, fino a diventare maggioritari” in diversi hub logistici del distretto piacentino, negli ultimi 15 anni più volte definito il ‘magazzino d’Italia’ e base di decine di multinazionali, da Amazon a GLS. Dal 2014-15 i sindacati avrebbero iniziato un “continuo conflitto” fra loro, creato “ad arte” all’interno dei magazzini prendendo “a pretesto ogni banale problematica risolvibile tramite normali relazioni industriali”.
Hanno provocato “scontri con la parte datoriale” per alimentare “il proprio potere”, uscire “vittoriosi” e ottenere “l’affiliazione all’associazione di più lavoratori, assicurandosi i proventi di tessere e conciliazioni”. Le aziende “piegate dall’illegale blocco dei mezzi e delle merci” avrebbero ceduto a “continue concessioni”. Tra i mezzi usati il “picchettaggio illegale” impedendo ai camion di merci “di entrare ed uscire”, “occupando la sede stradale” oppure praticando azioni “di sabotaggio” delle aziende, ad esempio “azionando l’interruttore di emergenza per interrompere l’azione dei macchinari per la movimentazione dei pacchi”. Le migliaia di operai, soprattutto stranieri, iscritti alle sue sigle sarebbero “un mero strumento, utilizzati come pedine da spostare” dai leader sindacali perché “naturalmente risulta facile indottrinare le maestranze a forte prevalenza di migranti”.
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