La testimonianza di Alfredo Traiano, che nel 2003 perse la madre per femminicidio: "Le leggi non danno risultati, a cosa servono?"

Siamo un esercito di vittime invisibili, siamo trasparenti. Da pochi anni abbiamo ricevuto una ‘categorizzazione’, ma nei fatti siamo fantasmi”. Alfredo Traiano, 26 anni, è uno dei tanti orfani in Italia che hanno perso la madre per femminicidio. Sua madre era Giovanna Traiano, uccisa dal marito nel 2003, a Foggia, quando lui aveva 4 anni, con un colpo di pistola alla testa. “Mi aveva accompagnato a una festa di compleanno ed era andata in chiesa – racconta – Non ho più visto mia madre, non ho più pronunciato il suo nome per chiamarla“. Traiano, che raggiunta la maggiore età ha cambiato cognome prendendo quello della madre, si definisce “fortunato”. “Avevo i miei nonni materni che si sono presi cura di me, non mi hanno fatto mancare nulla – sottolinea – Ma che ne è di quei bambini che restano senza mamma e non possono contare su una famiglia?”. La sua storia è diventata un documentario: ‘Nel cognome che ho scelto’, realizzato dal regista foggiano Lorenzo Sepalone. “È così, cambiando cognome, che è iniziata la mia battaglia” perché “troppi orfani di femminicidio restano in silenzio. Io credo che occorra andare nelle scuole, per le strade, ovunque, e partire da una storia vera, la mia, per dire: nessuno resti in silenzio”, aggiunge. “Mia mamma aveva denunciato e non una sola volta, ma ha fatto prima mio padre e le ha sparato con una pistola. Per tutta la vita mi sono chiesto cosa avesse sbagliato mia madre, perché proprio io dovevo essere figlio di un assassino. La realtà, cruda, è che mia madre non aveva sbagliato niente: è stata uccisa per gelosia“, prosegue. “È difficile approcciarsi a un orfano di femminicidio, occorre un supporto psicologico costante, ma la società dovrebbe essere più empatica“, conclude.

“Le leggi non danno risultati, a cosa servono?”

Traiano si rivolge poi allo Stato chiedendo di intervenire sia dal lato repressivo che da quello dell’educazione. “Se ci sono leggi, ma non ottieni il risultato, quelle leggi a cosa servono? Occorre inasprire le pene. Si commettono reati perché non c’è la paura della pena. Un sistema più rigido magari indurrà qualcuno a riflettere prima di sparare con una pistola contro una donna e ucciderla”, dice Traiano a LaPresse. “Paghiamo lo scotto di una falsa educazione alla non violenza: bisogna imparare davvero una cultura dell’inclusione, del rispetto, dell’accettazione del no – afferma – Per i giovani, serve un lavoro anche psicologico, mentre per gli adulti occorre puntare sulla rieducazione. Penso a quelli che sono già in carcere, deve esserci però una rieducazione reale, altrimenti una volta usciti saranno ancora pericolosi”. Troppo spesso, per Traiano, nei processi per femmicidio “ci si gioca la carta della perizia psichiatrica: non andrebbe ammessa”.

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