Marco Grimaldi: "Chi vuole la repressione è minoranza in città"

Continua a scaldare la polemica sul centro sociale Askatasuna a Torino. Ieri gli occupanti hanno scritto un comunicato, dopo la notizia del percorso di coprogettazione sui beni comuni insieme al Comune per lo stabile di Corso Regina. “Così è, se vi pare. ‘Apriamo spazi al quartiere per i bisogni collettivi!‘ così 27 anni fa scrivevamo su uno striscione il giorno in cui in tante e tanti occupavamo il Centro Sociale Askatasuna. Lo diciamo chiaramente il percorso che porterà il centro sociale ad essere ‘bene comune’ della città, rientra nella consequenzialità di quella frase, la prerogativa del centro sociale è sempre stata quella di essere aperto ai bisogni collettivi – scrivevano su Instagram – Negli ultimi mesi la Procura di Torino, la Questura e il Governo, hanno costruito le condizioni e il terreno per arrivare ad un possibile sgombero, puntando alla cancellazione della possibilità stessa di organizzarsi collettivamente. Il percorso che abbiamo intrapreso, insieme ad un nutrito gruppo di cittadini e cittadine solidali della nostra città, rappresenta la possibilità che abbiamo scelto. Vogliamo dare priorità a questa, impedendo l’eliminazione dell’esperienza del centro sociale e di tutte le attività che questo costruisce quotidianamente per il quartiere e le persone, molte, che lo attraversano”.

Askatasuna ha aggiunto: “Le ispezioni e le inchieste orchestrate ad hoc contro di noi mirano a mettere una pietra sopra tutto quello che dentro il centro sociale viene fatto, in tutta la sua diversità ed eterogeneità. Per questo vediamo positivamente la scelta del Comune di Torino di iniziare un percorso di coprogettazione che permetta di continuare, e aprire ancor di più, lo spazio di Corso Regina Margherita 47. Insieme a chi ha deciso di accompagnarci in questo percorso faremo in modo di effettuare i lavori propedeutici alla realizzazione della delibera comunale. Svolgere attività e iniziative in un contesto di sicurezza collettiva è da sempre stata una nostra prerogativa, nonostante i tentativi della Procura e della Questura di chiudere lo spazio. Ci auguriamo che la coprogettazione e i lavori necessari avvengano nei tempi dettati dal “buon senso” proprio perché vogliamo che le attività che abitualmente si svolgono al piano terra e nel giardino possano riprendere il prima possibile. Per questo sospenderemo la programmazione delle serate musicali e culturali, con la promessa di farne un orizzonte reale. Temporaneamente faremo in modo che queste iniziative possano vivere nelle strade della nostra città e del quartiere. Sicuramente continueremo a partecipare alle numerose lotte e percorsi che da anni portiamo avanti in città. A chi sui giornali si indigna e cerca di vedere gossip e spaccature interne, rispondiamo che per noi “si parte e si torna insieme” e che organizzarsi collettivamente è quanto di più lontano da quel che loro sono abituati a pensare appannaggio della ‘politica’. Noi ci sentiamo parte di un sogno collettivo che va ben al di là delle mura degli spazi che viviamo”.

Grimaldi: “Chi minaccia repressione è minoranza in città”

Favorevole e parte del processo è Marco Grimaldi, di Avs. “Mio padre, negli anni 80, lavorava sotto i gasometri del “borgo del fumo” all’Italgas. Mia madre faceva l’assistente sociale e aveva vissuto dalla fine degli anni 70 in Vanchiglia. L’immobile dell’Opera Pia Reynero di corso Regina Margherita 47 fu il primo luogo pubblico che frequentai. Era il mio asilo. Quel luogo fu chiuso e abbandonato per più di un decennio. Dal ‘96 è uno spazio unico della città, sede del centro sociale più rosso della galassia figlia dell’autonomia operaia” scriveva ieri sui social. “Avendo dichiarato tutto ciò di fronte a un magistrato, non ho paura di ripeterlo davanti a voi. Ho litigato con gli occupanti per metà della mia vita, più per le pratiche che per altro. Ma non ho timore di dire che quel luogo fa bene alla città. Le persone che lo attraversano hanno pagato spesso con anni di misure cautelari le loro azioni. Non credo costituiscano un’organizzazione criminale e non credo che quel mondo e il quartiere che lo frequenta si meritino uno sgombero o un sequestro dei muri. E nessuno a sinistra si illude né si augura di mettere così il guinzaglio e la museruola a una voce che è e deve rimanere libera di contestare anche noi. Tre anni fa, durante la pandemia, sono rientrato all’Askatasuna proprio con mia figlia, che condivideva con quel centro sociale il cortile del suo nido. I tamponi, la merenda per i bambini, il doposcuola e le attività del territorio mi hanno convinto a testimoniare in pubblico quella che è divenuta una mia certezza”.

E aggiunge: “Chi ha a cuore non solo il pluralismo, ma la vivacità di una grande città che si nutre anche di controculture e di esperienze sociali alternative non può desiderare la fine di quella storia. Oggi la Città, con una delibera coraggiosa e lungimirante, dà atto di una realtà di cui sono convinto da tempo: corso Regina 47 è un bene comune e nessuno dovrebbe cancellarlo dalle mappe culturali, sociali e solidali di Torino. I processi faranno il loro corso, i processi politici e amministrativi ne faranno altri. Criminalizzare il dissenso è sempre sbagliato, cancellarlo un atto ostile contro la democrazia. Questa è Torino. Chi minaccia repressione è minoranza in città”.

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