Si fa strada l'ipotesi di un pestaggio. La sorella: "Mio fratello non si è ucciso"

Riaperta l’inchiesta sulla morte del detenuto romano Stefano Dal Corso, avvenuta nel carcere di Oristano in Sardegna il 12 ottobre 2022 in circostanze poco chiare. Sul caso è stata inoltre presentata un’interrogazione parlamentare dal deputato di Italia Viva Roberto Giachetti al ministro della Giustizia Carlo Nordio. A lottare per la riapertura l’avvocata Armida Decina insieme ai familiari: archiviato come suicidio in cella, il caso ha assunto nuove connotazioni dopo che la legale è entrata in possesso di un file audio da cui emergerebbero indizi che farebbero pensare ad un pestaggio, avvenuto prima del ritrovamento del corpo del detenuto, impiccato alla finestra della cella con il lembo di un lenzuolo.

Ipotesi pestaggio

L’ipotesi avanzata dalla legale è supportata anche da una relazione del medico legale Cristina Cattaneo, già perita nelle indagini sull’omicidio di Serena Mollicone e del caso Cucchi. Nello scritto, presentato al sostituto procuratore Armando Mammone della procura di Oristano, il medico ha evidenziato come alcune ecchimosi e lividi, presenti sul corpo di Dal Corso, potrebbero derivare da un pestaggio.

La sorella: “Non si è ucciso”

“Voglio le prove. Mio fratello ha sofferto nella sua vita, ma non si è ucciso. Dovete indagare e lo dico a testa alta, davanti a tutti”. Così Marisa Dal Corso, la sorella di Stefano Dal Corso. La donna, insieme con il parlamentare Roberto Giachetti di Italia Viva, la presidente dell’Associazione “Nessuno tocchi Caino”, Rita Bernardini; e l’avvocato di famiglia Armida Decina, durante la conferenza stampa alla Camera.

“Le urla di dolore di Stefano si sentivano per tutta le sezione dove era recluso. Mio fratello, la sera prima del 12 ottobre del 2022, quando venne trovato morto in cella, subì un pestaggio da parte delle guardie. Alcuni detenuti hanno assistito ad un passaggio che noi riteniamo fondamentale. Dopo la lite con altri detenuti, avvenuta l’11 ottobre, ci raccontano i testimoni in un file audio, le guardie entrarono in cella e dalla cella provenivano grida di dolore” ha sottolineato la sorella.

La legale: “Indagini riaperte ma non ci accontentiamo”

“Non possiamo accontentarci di quello che ci viene detto. Hanno riaperto le indagini e io ho grande rispetto della magistratura, ma quando sono andata a vedere il fascicolo relativo alla richiesta di archiviazione, ho trovato una cartellina vuota, povera, con foto incomplete. Si dice che Stefano si è impiccato? Non possono esserci solo le immagini di lui vestito”, ha aggiunto Armida Decina. I familiari non credono all’ipotesi del suicidio, avanzata dalla procura di Oristano, ma sono convinti che si tratti di un pestaggio a opera del personale penitenziario. “Le testimonianze e le prove raccolte sinora indicano un’altra verità”, spiega ancora l’avvocato Decina. “C’era un taglierino nella cella? Le contraddizioni emerse sono tante. Grazie alla consulenza medico legale della dottoressa Cattaneo è stato individuato uno spiraglio di verità. Aggiungo che ho trovato il diario clinico non firmato da nessuno”.

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