Le parole del direttore dell'Alta scuola di comunicazione e media digitali di Unitelma Sapienza
Una rilevanza mediatica sconosciuta fino a quel momento: il delitto di Cogne rappresenta uno spartiacque nel mondo dell’informazione e nel racconto dei fatti della cronaca nera. La morte di Samuele Lorenzi, bimbo di 3 anni ucciso con 17 colpi in testa, con un’arma del delitto mai ritrovata, ha suscitato un interesse di pubblico ancora sconosciuto. Il processo alla mamma del bambino è andato in scena sui media prima che nelle aule di tribunale: la colpevole è lei. “È la giustizia che si fa spettacolo e diventa ‘ingiustizia spettacolo'”, spiega a LaPresse Mario Morcellini, direttore dell’Alta scuola di comunicazione e media digitali di Unitelma Sapienza, parlando del caso a 20 anni dal delitto. “Quello fu anche ribattezzato ‘Caso gogne’, da gogna mediatica. Ha avuto un impianto assolutamente comunicativo che segnala la ‘novità’ nell’ambito dei delitti intrafamiliari”, dice Morcellini. “La definizione di ‘pornografia del dolore’ sarebbe arrivata qualche tempo dopo, ma possiamo utilizzarla anche per il delitto di Cogne“: con la spettacolarizzazione e la mediatizzazione dei fatti “fu spostato in avanti un voyerismo che non fa bene né al giornalista né al lettore, tardando, e in certi casi eliminando, quella dimensione che serve per superare il fatto in sè”.
In tv, Franzoni annuncia di aspettare un altro figlio. In tv, a Porta a Porta di Bruno Vespa, appare il plastico della vignetta: quella puntata viene vista da 10milioni di telespettatori. Sono il segno di “una trasgressione anche rispetto a regole che il giornalismo aveva fino a quel momento seguito e che avremmo chiamate ‘deontologiche'”. Nel racconto sui giornali, nella sovraesposizione del caso in tv, alle radio, nei rotocalchi, per Morcellini, “Samuele Lorenzi diventa due volte vittima, il simbolo di una crudeltà che si annida nelle pieghe della modernità di cui l’informazione si fa portavoce”. Si fa strada, insomma, a partire da Cogne, “una corrente comunicativa” secondo cui “si potevano ottenere dal pubblico dei ‘dosaggi di attenzione’ attraverso lo shock communication”. Nasce, in altre parole, “l’idea di spostare nel teatrino delle sabbie mobili televisive le anticipazioni di giudizi ed escussioni dei testimoni”. E l’occhio dell’informazione “che dovrebbe essere umano, diventa mercantile, con un incredibile cinismo: è attento cioè agli utili di pubblico, influenzata dall’auditel”.
Il caso Cogne “ha nelle sue corde le caratteristiche delle bad news e non si ferma di fronte all’oblio che dovrebbe essere diritto di tutti”, ma “nel mondo digitale “è una richiesta retrò”. “Annamaria Franzoni, suo malgrado, fa notizia qualunque altra cosa le possa capitare: ogni volta in prima pagina”, conclude Morcellini.
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