L'aereo bloccato anche nel viaggio di andata. Il ritardo dovuto ad un cambio di rotta per un possibile divieto di sorvolo da parte degli Emirati Arabi

Dopo la cerimonia di ammaina bandiera che ha definitivamente chiuso la missione delle truppe italiane a Herat, in Afghanistan, il boeing 767 dell’Aeronautica militare che riportava in Italia giornalisti e collaboratori, per evitare il rischio di un possibile nuovo divieto di sorvolo degli Emirati Arabi e fare il cambio di equipaggio (necessario dopo le 24 ore) ha optato per il passaggio da Sud, con scalo in Kuwait. Il viaggio così da 6 ore di volo diretto passa a 10.

Già durante il volo di andata, la celebrazione di fine missione era stata rovinata dallo stop del volo militare partito da Roma con 42 giornalisti e diversi soldati, diretto proprio ad Herat. Il Boeing 767 atteso infatti alle 9.30 alla base, con il ministro pronto a riceverlo, è stato costretto dal governo di Abu Dhabi a fare marcia indietro e ad atterrare in Arabia Saudita. “Sorvolo non consentito” sui cieli degli Emirati Arabi, che hanno portato un ritardo di oltre 7 ore con l’aereo costretto a fare rifornimento nell’aeroporto civile di Dammam e poi riprogrammare il piano di volo con ulteriori 4 ore e mezza per arrivare ad Herat.

La cerimonia, che era stata fissata per la mattinata, è stata riprogrammata nel pomeriggio in formato ridotto. Immediato l’intervento della Farnesina con la richiesta di spiegazioni da parte del ministro, Luigi Di Maio, che ha convocato l’ambasciatore degli Emirati Arabi in Italia. Dalla Difesa non è mai stata interrotta l’osservazione del Boeing e il collegamento con il ministero degli Esteri. “Mi dispiace per i disagi che avete subito sul volo per arrivare qua, la questione è di carattere diplomatico rispetto a decisioni che erano state assunte e garantite”, ha rimarcato Guerini all’arrivo.

L’ipotesi è quella di una vendetta da parte di Abu Dhabi, con cui l’Italia ha rapporti difficilissimi, sia per lo stop alla vendita di armi dopo le stragi di civili nello Yemen sia per la situazione incandescente in Libia, dove Abu Dhabi risulta tra i grandi finanziatori delle operazioni russe e del generale Haftar in Cirenaica e nel Fezzan ai danni del governo di transizione. L’embargo delle armi, insomma, ha inasprito i rapporti ed è possibile che quanto accaduto sia stata una rivalsa da governo degli Emirati, che l’ambasciatore dovrà spiegare.

 

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