A a quattro mesi dall'uscita della serie, arriva la decisione: querela per diffamazione verso la casa produttrice e Netflix

Finisce per vie legali la vicenda di ‘SanPa – Luci e tenebre di San patrignano‘, il documentario pubblicato su Netflix lo scorso dicembre. Andrea e Giacomo Muccioli, figli di Vincenzo, fondatore della comunità di San Patrignano, annunciano tramite i loro legali di aver querelato per diffamazione il colosso dei media Netflix e la casa di produzione 42.

Il documentario aveva fin da subito scatenato la reazione della omonima comunità romagnola che già ai primi di gennaio si era dissociata tramite un comunicato definendo ‘SanPa’ un “racconto tendenzioso e parziale”, “unilaterale” e pieno di “spettacolarizzazioni, drammatizzazioni e semplificazioni”, al punto tale di far temere alla comunità stessa “effetti negativi e destabilizzanti che potrebbero ricadere sull’oneroso lavoro di recupero, reinserimento e prevenzione, ai quali la comunità San Patrignano è con dedizione da decenni impegnata”. In particolare, in un’intervista rilasciata da Alessandro Rodino Dal Pozzo, presidente di San Patrignano dal 2019, al Resto del Carlino, il documentario viene descritto come “un racconto di parte“. Tesi rafforzata dal comunicato della comunità: “Una narrazione che si focalizza in prevalenza sulle testimonianze di detrattori”.

E così, a quattro mesi dall’uscita della serie, arriva la decisione: i fratelli Muccioli querelano per diffamazione la casa produttrice e Netflix. Secondo i legali degli eredi di Muccioli, Alessandro Catrani e Francesca Lodi, la docu-serie “diffama al di là di ogni legittima opinione sulla vita e l’operato di Vincenzo Muccioli, l’immagine e la memoria di una persona scomparsa, un grande padre e un uomo che ha dedicato la sua esistenza al Bene, violando altresì i più elementari principi di privacy. Tutto ciò ha investito gravemente la vita dei nostri due assistiti”. “Dalla messa in onda della fiction la loro vita privata e quella dei loro familiari – spiegano gli avvocati – è stata travolta da continue domande, richieste da parte di amici, conoscenti, persone comuni, sulla veridicità di quanto affermato e rappresentato nella docu-serie. Si sono trovati colpiti e feriti in quanto c’è di più prezioso: memoria, reputazione e onorabilità di un padre scomparso”.

A turbare particolarmente i figli di Muccioli sono tre aspetti della docu-serie: “Come Vincenzo Muccioli venga indicato come misogino e omosessuale. La causa della sua morte, inoltre, viene attribuita all’Aids. Ovvero a un’infezione da Hiv, contratta a causa del suo stile di vita e dei suoi comportamenti privati”. I legali sono convinti che la legge sia dalla loro parte: “Consente di proteggere i privati cittadini dagli effetti, devastanti sulle loro vite, causati da una docu-serie realizzata da un gigante della comunicazione. Dal punto di vista giuridico e dal nostro punto di vista professionale, in questo caso anche umano, la querela che abbiamo presentato per conto dei fratelli Muccioli è nostro avviso ineccepibile. Diffamazione e violazione delle leggi sulla privacy, sono per i familiari di tutta evidenza”. Nessun commento, invece, da parte di Netflix e della casa di produzione 42. A 26 anni dalla morte di Vincenzo Muccioli la palla passa di nuovo in mano alla magistratura. Ancora una volta, tra luci e tenebre.

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