Da anni ricovero di tante persone, aveva raggiunto l'apice nel 1959, quando in fabbrica lavorano 1.600 persone

Ormai era una situazione incancrenita. L'ex fabbrica di penicillina a Roma, ora sgomberata, era diventata da anni ricovero di tante persone: richiedenti asilo ma anche italiani. Inaugurata il 21 settembre del 1950, alla presenza di Alexander Fleming, scopritore della penicillina, e del conte Giovanni Armenise, proprietario dei terreni, il gigantesco edificio sulla Tiburtina, a pochi passi dal carcere di Rebibbia, ormai da decenni era diventato uno scheletro. Negli edifici abbandonati tuttora sono presenti macchinari e residui della produzione farmacologica, rifiuti speciali e reattivi chimici (per esempio ammoniaca e acido solforico), inoltre è stata riscontrata la presenza di amianto in forma solida o pulverulenta: tutte sostanze estremamente inquinanti e dannose che aggravano una situazione igienico-sanitaria già preoccupante.

L'apice dell'attività la raggiunge nel 1959, quando in fabbrica lavorano 1.600 persone. Nel 1971 il nipote di Armenise cede l'impianto alla casa farmaceutica milanese ISF Spa che nel 1985 la cede a sua volta all'americana Smith-Kline & French (SKF). Ma nel 1989 la SKF si fuse con la britannica Beecham (con la nuova sigla SKB), e la nuova proprietà era poco interessata alla produzione italiana di antibiotici. Così le linee di produzione di derivati della penicillina e delle cefalosporine vengono chiuse e la fabbrica si riduce a non più di 200 dipendenti. Nel 2006, si ferma di fatto l'intera produzione per consentire la delocalizzazione della stessa nel polo industriale di Pomezia. I lavori di ampliamento della via Tiburtina iniziati nell'anno 2012 hanno permesso l'accesso non autorizzato a numerose persone che hanno fatto di quel posto la loro casa. ​​​​​​
 

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