Un segno di riavvicinamento tra le due confessioni nel solco di Wojtyla e Ratzinger

La distanza tra le due sponde del Tevere, per secoli considerata incolmabile, si fa sempre più breve: il percorso di riavvicinamento tra ebrei e cattolici intrapreso 50 anni fa con la dichiarazione Nostra Aetate, frutto del Concilio Vaticano II, si dimostra irrevocabile. 'Amicizia' e 'dialogo' sono state le parole più pronunciate nei discorsi di Papa Francesco e dei rappresentanti dell'ebraismo romano e italiano per la prima visita del Pontefice argentino al Tempio Maggiore di Roma.

"Nel dialogo ebraico-cristiano c'è un legame unico e peculiare – ha spiegato Papa Bergoglio -, in virtù delle radici ebraiche del cristianesimo: ebrei e cristiani devono dunque sentirsi fratelli, uniti dallo stesso Dio e da un ricco patrimonio spirituale comune, sul quale basarsi e continuare a costruire il futuro". Nel riprendere l'espressione di Karol Wojtyla nella sua storica visita alla Sinagoga di Roma ("Siete i nostri fratelli maggiori"), ha ribadito che la via del dialogo dev'essere quella tracciata dal Concilio: "Sì alla riscoperta delle radici ebraiche del cristianesimo, no a ogni forma di antisemitismo e condanna di ogni forma di ingiuria, discriminazione e persecuzione che ne derivano".

Da vescovo di Roma, ha fatto appello alla comunità ebraica romana per "assumere insieme – ebrei e cattolici – le nostre responsabilità per questa città, apportando il nostro contributo, anzitutto spirituale e favorendo la risoluzione dei diversi problemi attuali".

Non è mancato nel suo discorso il riferimento all'ambiente, per una fede che non dimentichi la "cura per il creato" espressa nella Bibbia, nel segno di una "ecologia integrale" che è ormai una "sfida prioritaria" per tutti.

Ma, sopra ogni cosa, non è mancato l'appello per un fronte comune contro la "violenza dell'uomo sull'uomo", pratica "in contraddizione con ogni religione degna di questo nome, e in particolare con le tre grandi religioni monoteistiche".

"La vita è sacra – ha detto Papa Bergoglio -. Dio è il Dio della vita e vuole sempre promuoverla e difenderla: noi, creati a sua immagine e somiglianza, siamo tenuti a fare lo stesso".

I PAPI E LA COMUNITA' EBRAICA ROMANA – Papa Francesco è il terzo Pontefice a visitare la Comunità Ebraica di Roma, dopo Giovanni Paolo II il 13 aprile 1986 e Benedetto XVI il 17 gennaio 2010. Ma fu Giovanni XXIII, anche se non visitò mai il Tempio Maggiore di persona, a compiere il primo gesto di riavvicinamento tra le due comunità: nel 1959, durante il corteo pontificio sul Lungotevere, si fermò per benedire gli ebrei che, di sabato, uscivano dalla Sinagoga.

Poi venne la visita di Giovanni Paolo II al Rabbino Toaff. Un abbraccio immortalato in uno scatto senza tempo che fece il giro del mondo.

Con quella foto 'Shalom', mensile di informazione e cultura della Comunità Ebraica di Roma, apriva il numero di aprile 1986, titolando: 'Venti secoli per un abbraccio'.

Ventiquattro anni dopo, il 17 gennaio 2010, ci fu una nuova importante visita che questa volta vedeva protagonisti Papa Benedetto XVI e il Rabbino Riccardo Di Segni, nuovo Rabbino Capo della Comunità Ebraica di Roma.

RABBINO DI SEGNI: LA TERZA VOLTA UN GESTO DIVENTA CONSUETUDINE – "Oggi il Tempio accoglie con gratitudine questa terza visita di un Papa e vescovo di Roma – ha detto oggi in Sinagoga il Rabbino Di Segni nel discorso che ha preceduto quello del Papa -. Secondo la tradizione giuridica rabbinica, un atto ripetuto tre volte diventa *chazaqà, *consuetudine fissa. È decisamente il segno concreto di una nuova era dopo tutto quanto è successo nel passato. La svolta sancita dal Concilio Vaticano cinquanta anni fa è stata confermata da numerosi e fondamentali atti e dichiarazioni, l'ultima di un mese fa, che hanno prima aperto e poi consolidato un percorso di conoscenza, di rispetto reciproco e di collaborazione".

IL RICORDO DELLA SHOAH – Prima di entrare in Sinagoga, Papa Francesco si è fermato a rendere omaggio alle vittime del rastrellamento nazista del 16 ottobre 1943, quando le SS deportarono più di mille ebrei romani. "Oggi – ha detto il Santo Padre in Sinagoga – desidero ricordarli in modo particolare: le loro sofferenze, le loro angosce, le loro lacrime non devono mai essere dimenticate. E il passato ci deve servire da lezione per il presente e per il futuro. La Shoah ci insegna che occorre sempre massima vigilanza, per poter intervenire tempestivamente in difesa della dignità umana e della pace".

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