Roma, 5 ago. (LaPresse) – “È stata una vista orribile, persone che si aggrappavano disperate ai giubbetti di salvataggio, alle barche, a qualunque cosa trovavano per cercare di salvarsi la vita, in mezzo alle persone che stavano annegando o a chi era già morto”. È il racconto di Juan Matías, coordinatore di Medici Senza Frontiere a bordo della nave Dignity, impegnata oggi nelle operazioni di salvataggio degli oltre 400 migranti affondati insieme alla loro imbarcazione a largo delle coste della Libia. “Il fatto che siamo stati chiamati prima per assistere questa barca e subito dopo per un altro salvataggio – aggiunge Matías -, dimostra la grave carenza di risorse disponibili per operazioni di soccorso nel Mediterraneo”.
La Dignity ha fornito assistenza medica a 10 persone, di cui 5 erano in condizioni così gravi da richiedere il trasporto immediato in ospedale in elicottero. Anche le altre navi su cui opera Msf, la Bourbon Argos e la My Phoenix gestita dal Moas, sono accorse sul posto. “Oggi in mare abbiamo vissuto da vicino un nuovo, grandissimo dolore“, ha detto Loris De Filippi, presidente di Msf. “È un imperativo che le operazioni di soccorso si avvicinino il più possibile alle zone di partenza: solo due giorni fa 5 persone sono morte per disidratazione dopo 13 ore su un barcone e oggi questa tragedia ad appena 15 miglia dalla Libia. L’unica soluzione per porre fine a lutti e sofferenze in mare è aprire vie legali e sicure per consentire a queste persone, costrette a fuggire da guerre e povertà, di trovare sicurezza senza rischiare la vita”.
Prima della tragedia di oggi, 1941 persone hanno già perso la vita nel tentativo di attraversare il Mediterraneo. Msf ha avviato la propria azione di ricerca e soccorso in mare a maggio e finora ha soccorso più di 10.000 persone.
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