Bergamo, 19 ago. (LaPresse) – E’ entrata in uso all’ospedale Papa Giovanni XXIII di Bergamo una nuova tecnica chirurgica per la cura del tumore al fegato. Messa a punto nel 2012 dal medico bavarese Andreas Schnizbauer dell’Università di Ratisbona, la procedura, detta Alpps, sfrutta la capacità del fegato di rigenerarsi e trova applicazione nei casi in cui l’asportazione completa del tumore richiederebbe di sacrificare la maggior parte del tessuto epatico e la porzione rimanente non sarebbe sufficiente a mantenere in vita il paziente.

La tecnica consta di due interventi distinti, eseguiti a pochi giorni l’uno dall’altro. Nel primo la parte di fegato interessata dal tumore viene separata completamente da quella sana, ma non asportata dall’addome. Contemporaneamente le viene tolto il nutrimento proveniente dalla vena porta, grosso vaso che ha il compito di convogliare al fegato il sangue proveniente dalla digestione intestinale e dalla milza, ma non l’afflusso di sangue arterioso né il drenaggio venoso per evitare la necrosi.

In questo modo la parte di fegato malata contribuisce a garantire una funzionalità epatica sufficiente, dando il tempo alla parte sana di crescere. Trascorsi dai 7 ai 15 giorni dal primo intervento è possibile passare al secondo, nel corso del quale, interrotte le rimanenti connessioni vascolari e biliari della parte malata, se ne completa la asportazione. Al paziente resterà così una porzione di fegato sana in grado di soddisfare autonomamente le esigenze dell’organismo.

“Prima di queste resezioni si procedeva all’occlusione dei rami della vena porta che nutrono la porzione di fegato da asportare”, spiega Michele Colledan, direttore del Dipartimento chirurgico dell’ospedale Papa Giovanni XXIII. “In questo modo – prosegue – si otteneva la crescita della porzione sana da risparmiare in circa 4-6 settimane, periodo in cui però il tumore aveva la possibilità di estendersi ulteriormente. Inoltre – aggiunge – la crescita non sempre era completa e sufficiente, a causa delle comunicazioni venose presenti all’interno del tessuto epatico”.

Grazie all’esperienza maturata in questi anni a Bergamo in materia di trapianti, la nuova tecnica messa a punto dagli esperti permette di accorciare notevolmente i tempi e di ottenere un accrescimento del fegato in una media di 9 giorni.

“Siamo riusciti ad introdurre nel nostro centro questa pratica in poco tempo”, sottolinea ancora Colledan. “Sul piano tecnico deriva, ed è sostanzialmente identica, alla divisione del fegato che applichiamo regolarmente per trapiantare due pazienti con l’organo di un unico donatore e per cui siamo tra i centri più attivi nel mondo”, afferma.

“Ancora una volta – conclude il direttore – si conferma la sinergia tra chirurgia dei trapianti e chirurgia generale nello sviluppo di approcci chirurgici innovativi e complessi ma sicuri ed efficaci, a beneficio di tutti i nostri malati”.

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