Di Giuseppe Colombo
Roma, 17 giu. (LaPresse) – Dai recenti fatti di cronaca, come la vicenda di Yara Gambirasio e il triplice omicidio a Motta Visconti, emerge un quadro allarmante. Come è possibile, si chiedono in molti, che persone apparentemente irreprensibili arrivino a compiere delitti efferati ed essere scoperti, spesso, per puro caso o con indagini sofisticate? Abbiamo chiesto un parere a Giuseppe Lago, psichiatra e psicoterapeuta, direttore dell’Istituto romano di psicoterapia psicodinamica Integrata, autore del libro ‘L’illusione di Mesmer’.
Come ha potuto fare il probabile assassino di Yara a nascondersi in una vita completamente normale, dopo avere esercitato violenza su una ragazza inerme?
“Nel caso specifico, dobbiamo approfondire e parlare non soltanto di disturbo di personalità borderline, ma anche di psicopatia o disturbo antisociale. Si tratta, cioè, di individui che vivono una scissione totale tra gli affetti e la vita razionale. Questi soggetti possono studiare, in modo freddo, delle strategie perverse, quasi sempre con una componente violenta sessuale, e realizzarle nel completo anonimato, protetti da una facciata irreprensibile. Infatti, solo una tecnologia nuovissima come la ricerca delle tracce del Dna è riuscita a superare il muro impenetrabile che trasforma un signor Rossi qualsiasi nell’assassino seriale, scatenato e spietato. Lo psicopatico perverso è diverso dal borderline impulsivo che uccide moglie e figli a coltellate e tenta di far finta di niente, scoprendosi fino al punto di confessare e chiedere ‘il massimo della pena’. Lo psicopatico perverso scompare nell’anonimato della sua vita da ‘travet’, ma studia lucidamente tutti i dettagli. Egli è un vero delinquente, perché sa di agire con violenza e fa di tutto per non scoprirsi. Siamo in presenza del delitto spesso ‘perfetto’, salvo quell’errore fatale al centro di tutte le trame poliziesche e letterarie. La costante, però, è sempre una strana connivenza tra l’assassino e coloro che lo circondano e dovrebbero avvertire la patologia strutturale che li caratterizza, proprio perché sono gli unici a poter verificare questa particolare forma di scissione della personalità nella relazione che vivono con il soggetto in questione”.
Cosa rappresentano queste storie? Dobbiamo temere di vivere accanto a dei mostri?
“Senza dubbio questi fatti sorprendono l’opinione pubblica e spingono a credere che una persona, cosiddetta normale, possa all’improvviso impazzire, compiere delitti inauditi e rimanere impassibile e nascosta, finché quasi casualmente venga scoperta. La gente comune, però, non deve angosciarsi e credere che una persona realmente normale possa trasformarsi a tal punto da diventare un assassino freddo e calcolatore. Al di là della facciata di normalità, infatti, si possono nascondere disturbi psichiatrici che un esperto è in grado di riconoscere ed evidenziare, purché ne abbia la possibilità, in un contesto clinico”.
Si tratta cioè di patologie mentali non evidenti?
“Certamente. Esiste la categoria dei disturbi gravi di personalità che è del tutto compatibile con un adattamento normale e comportamenti all’apparenza irreprensibili. Solo che il soggetto mantiene dentro di sé una struttura psicologica fragile e fortemente disturbata che lo espone all’emergenza di corti circuiti, ovvero impulsi e passaggi all’atto nei quali si manifesta tutta la patologia mentale che, in condizioni ordinarie, rimane latente e non agìta”.
Come si possono prevenire questi disturbi?
“La difficoltà sta nel fatto che queste persone vivono per anni senza la consapevolezza del loro disturbo e, in un certo senso, nascosti sotto una facciata di normalità. Chi potrebbe riconoscere il loro disturbo e i rischi di una mancata cura sono le persone che vivono insieme a loro, non i vicini di casa che ne osservano i comportamenti normali, ma i familiari e tutti coloro che riescono a intravederne il malessere profondo e talvolta ne subiscono le crisi, durante le quali il disturbo nascosto emerge e si manifesta in modo più chiaro”.
Quindi sarebbe possibile individuare queste persone e il loro disturbo?
“Presso gli specialisti, è ben noto il cosiddetto disturbo di personalità borderline, ovvero quello che si colloca in una linea di confine tra la normalità e la patologia. Esistono anche centri clinici nelle Asl che si occupano di questi disturbi e avviano i pazienti su un percorso di risoluzione o su uno stabile contenimento della patologia, con una relativa neutralizzazione dei comportamenti impulsivi dei quali la cronaca registra il tragico elenco”.
Come è possibile che queste persone possano mantenere un comportamento normale dopo aver commesso delitti così atroci?
“Il disturbo di personalità dal quale sono affetti altera soprattutto la loro dimensione affettiva. Il processo inizia precocemente, nella vita infantile, e dipende anche da traumi, abusi, abbandoni che si verificano nell’età evolutiva. Naturalmente, non bisogna trascurare una certa predisposizione psicobiologica che facilita la manifestazione di stati e comportamenti, condizionando in modo serio il funzionamento del sistema nervoso. Il risultato di un equilibrio patologico di questo tipo potrebbe essere quello di manifestare comportamenti normali, in fase non critica, ma essere totalmente freddi e anaffettivi, ossia incapaci di mantenere e organizzare legami affettivi. Ciò comporta, nel passaggio all’atto, il mancato contenimento dell’aggressività nei confronti anche di familiari, figli e conviventi”.
Che legami intrattiene uno psicopatico del genere con i figli e con i familiari in generale?
“Trattandosi di persone scisse, come abbiamo visto più volte nelle vite dei mafiosi e camorristi, possono possedere una doppia contabilità: padri normali affettuosi coi figli da una parte, assassini freddi e distaccati con coloro che considerano oggetti da sfruttare o da distruggere per il loro tornaconto. Mi fanno pensare anche ai nazisti che, pietosi con gli animali e i loro familiari, colpivano senza problemi gli ebrei, considerati alla stregua di oggetti o di una razza inferiore sulla quale ritenevano lecito esercitare qualsiasi violenza”.
Che cosa deve fare chi si accorge di stare accanto a una persona del genere?
“Dovrebbe, per quanto è possibile, convincere con le buone la persona in questione a rivolgersi a uno specialista o a una struttura idonea. Oppure, comunicare a persone competenti i suoi dubbi e le sue preoccupazioni, in modo da ricevere consigli e indicazioni per fare chiarezza sull’eventuale disturbo della persona che gli sta accanto, che sia familiare, convivente o altro. Ciò che è importante è non lasciare nell’ombra episodi, manifestazioni che potrebbero ricondurre gli addetti ai lavori a una patologia grave come il disturbo grave di personalità”.
© Copyright LaPresse - Riproduzione Riservata