Città del Vaticano, 29 mar. (LaPresse) – “La cultura dell’incontro e la cultura dell’esclusione, del pregiudizio”. Sono queste secondo Papa Francesco le due culture opposte. “La persona malata o disabile, proprio a partire dalla sua fragilità, dal suo limite, può diventare testimone dell’incontro: l’incontro con Gesù, che apre alla vita e alla fede, e l’incontro con gli altri, con la comunità. In effetti, solo chi riconosce la propria fragilità, il proprio limite può costruire relazioni fraterne e solidali, nella Chiesa e nella società”. Il pontefice lo ha detto durante l’udienza con gli aderenti al Movimento Apostolico Ciechi (MAC) e alla Piccola Missione per i Sordomuti e con i i membri dell’Unione Italiana Ciechi e Ipovedenti, ricordando la figura del cieco nato presente nel Vangelo. “Quell’uomo era cieco dalla nascita – ha spiegato il Papa – ed era emarginato in nome di una falsa concezione che lo riteneva colpito da una punizione divina. Gesù rifiuta radicalmente questo modo di pensare, veramente blasfemo, e compie per il cieco ‘l’opera di Dio’, dandogli la vista. Ma la cosa notevole è che quest’uomo, a partire da ciò che gli è accaduto, diventa testimone di Gesù e della sua opera, che è l’opera di Dio, della vita, dell’amore, della misericordia. Mentre i capi dei farisei, dall’alto della loro sicurezza, giudicano sia lui che Gesù come ‘peccatori’, il cieco guarito, con semplicità disarmante, difende Gesù e alla fine professa la fede in Lui, e condivide anche la sua sorte: Gesù viene escluso, e anche lui viene escluso. Ma in realtà, quell’uomo è entrato a far parte della nuova comunità, basata sulla fede in Gesù e sull’amore fraterno”.

La Samaritana – ha spiegato Bergoglio – “è un esempio chiaro del tipo di persone che Gesù amava incontrare, per fare di loro dei testimoni: persone emarginate, escluse, disprezzate”. “Ma pensiamo a tanti – ha aggiunto – che Gesù ha voluto incontrare, soprattutto persone segnate dalla malattia e dalla disabilità, per guarirle e restituirle alla piena dignità. E’ molto importante che proprio queste persone diventano testimoni di un nuovo atteggiamento, che possiamo chiamare cultura dell’incontro”.

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