Città del Vaticano, 3 set. (LaPresse) – Il primo settembre, dopo l’inatteso Angelus pacifista di Papa Francesco, l’imbarazzo aleggiava nelle redazioni dei media italiani. Le testate televisive si sono limitate a riferire su un generico appello del Pontefice in favore della pace, molte di quelle on line hanno persino evitato di parlarne. E il due settembre, anche i quotidiani hanno relegato la notizia ad un taglio basso delle pagine interne. Il motivo di tanto imbarazzo? Se l’appello del terzomondista vescovo di Roma verrà accolto così come è stato lanciato, indirizzato a chiunque abbia a cuore le ragioni della pace e del dialogo multilaterale, sabato prossimo assisteremo alla più grande manifestazione mai avvenuta contro la politica americana e francese, contro le due potenze egemoni accusate (con più o meno ragione) di essere la causa occulta degli sconvolgimenti che scuotono Africa, Medio ed Estremo Oriente e l’America Centro-latinoamericana.
Nel 2003, quando Giovanni Paolo II, sbattendo il pugno sul davanzale del suo studio privato, invitò i cattolici del mondo a partecipare alle manifestazioni contro l’imminente invasione dell’Iraq furono in più di cento milioni ad animare quella ormai lontana protesta popolare. Negli ambienti vaticani, è molto radicata addirittura l’opinione secondo la quale i terribili anni che seguirono, quelli in cui il sistema mediatico anglosassone operò quella falsificazione globale che vuole la pedofilia come problema principale del clero cattolico, siano stati il prezzo pagato all’impegno della Chiesa per la pace e per il dialogo multilaterale. Il fatto, quindi, che Papa Francesco esponga nuovamente a possibili ritorsioni la Chiesa, e chissà quanto pesanti se sabato sette settembre assumerà il peso di una protesta globale contro la politica delle amministrazioni Obama e Hollande, va innanzitutto interpretato come un atto di coraggio.
E per chi conosce l’infinita prudenza della diplomazia vaticana, l’iniziativa papale va anche considerata come un segno che Oltretevere, al di là delle frettolose analisi sulla fine mandato del segretario di Stato Tarcisio Bertone, le cose funzionano bene, e alla svelta. Come sono state costrette ad annotare le stesse penne che il giorno precedente avevano dato la coppia Bergoglio-Bertone afflitta da un incurabile male di incomunicabilità, Papa Francesco all’ Angelus del primo settembre non ha improvvisato, anzi ha attentamente letto il testo che la segreteria di Stato aveva preparato e limato, durante una riunione collegiale con il Papa, il pomeriggio del sabato 31 agosto.
Per quanti poi ricordano la fermezza con la quale il cardinale Angelo Sodano, segretario di Stato durante gli eventi del 2003, tentò di ammorbidire le assai poco lungimiranti opzioni irachene del duo George Bush-Tony Blair è facile immaginare che l’argomento discusso da Papa Francesco, il 15 agosto a Castelgandolfo, con i cardinali Sodano e Bertone non riguardasse certo i pettegolezzi in corso sugli equilibri nella curia di Oltretevere, ma invece argomenti di geopolitica molto più ampi e drammatici. In due settimane, i nunzi apostolici, e la rete di collegamento di “Justitia et pax”, hanno avuto tutto il tempo di sondare il terreno, a livello globale, prima che il Pastore Universale si esponesse così coraggiosamente durante l’Angelus di domenica scorsa. Perché nella Chiesa Cattolica, una Papa non cammina mai solo.
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