Torino, 11 mag. (LaPresse) – Circa 200 disabili e operatori hanno marciato questo pomeriggio per le vie del centro di Torino per una camminata solidale intitolata ‘sogni con i piedi per terra’, giunta quest’anno alla sua quarta edizione, dedicata alle persone con disabilità e alle loro famiglie. Tanti i ragazzi in carrozzina, traffico bloccato. “E’ un’operazione che non doveva essere tanto una manifestazione di rivendicazione, l’obiettivo era fare presente che alcune difficoltà si superano solo se si ricostruisce una collaborazione tra pubblica amministrazione, imprese sociali e associazionismo”, spiega Roberto Vendrame, responsabile area disabili della cooperativa Esserci. “Tre gambe – sottolinea – che, se camminano con l’una che rivendica sull’altra, non funziona più niente”. “Oggi – continua – a livello culturale stiamo facendo un passo indietro. Negli anni ’80 e ’90 l’attenzione alle persone disabili ha portato alla legge 104” che permette ai genitori di avere permessi di lavoro per dedicarsi ai figli con difficoltà, “la legge sull’inserimento lavorativo” e “la legge sulle cooperative sociali”. Oggi non c’è più quella spinta. Un passo indietro culturale che si accompagna ai tagli della crisi: “Ci sono state riduzioni – racconta Vendrame – su tutti i fronti. Meno insegnanti di sostegno, meno buoni pasto, meno servizi, richiesta di maggiore contribuzione alle famiglie”.
“C’è un clima depressivo anche tra le famiglie, che fanno sempre più fatica”, sottolinea Simona Altieri, coordinatrice servizio del centro diurno per disabili Karane di Uka, struttura che assiste una ventina di persone. Negli ultimi anni c’è stato un taglio dell’8%, spiega, degli operatori. Molti ragazzi hanno bisogno dell’affiancamento individuale ma non ce ne sono abbastanza. “Nel nostro centro – sottolinea – siamo 10 operatori, di cui 3 part-time, su 21 ragazzi. Ormai non concedono più a nessuno l’affiancamento individuale, neanche ai casi più gravi. Ne abbiamo uno solo da noi e solo per due ore al giorno, come se nel resto della giornata invece non ne avesse bisogno”. I tagli agli operatori costringono il centro anche a ricorrere ai genitori: ormai sono loro che gestiscono il servizio del trasporto: a turno si mettono al volante del furgoncino al mattino e vanno a prendere i ragazzi a casa. Insomma si fa sempre più affidamento sul volontariato.
Mentre i casi che approdano ai centri diurni sono sempre più gravi. “C’è una lista d’attesa che si è allungata, passano solo più le persone con gravi disabilità”, spiega Altieri. Gli altri restano a casa. Per esempio i down, hanno un maggiore grado di autonomia rispetto agli autistici, per esempio, finiscono per non avere diritto al centro. Col doppio risultato che le famiglie sono in difficoltà e nei centri è sempre più difficile lavorare, dal momento che vi sono concentrati solo i casi più gravi, a fronte di un calo progressivo di risorse. Ma i tagli colpiscono anche direttamente le famiglie, con la riduzione dei fondi che l’amministrazione stanzia per finanziare l’affidamento dei ragazzi a operatori che propongono loro attività pomeridiane. “Non avere un affido – continua Altieri – per le famiglie significa non avere più tempo per nulla. La famiglia prima era una risorsa per la società, oggi si trova sempre più schiacciata. Il rischio è che anziché essere motore di cambiamento ed energia diventi un peso”.
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