Dal nostro inviato Fabio De Ponte

Perugia, 28 apr. (LaPresse) – “Ecco la foto di una redazione tradizionale, quella del Daily Telegraph”. File di scrivanie, ovunque computer, stampanti, fax, telefoni e televisori. “E questa è la foto di una redazione contemporanea, così come diventeranno tutte”. Uno stanzone vuoto con una grande vetrata, sacchi a pelo a terra, un paio di computer appoggiati su una cassa di legno. E’ questo lo scenario tracciato da Emily Bell, ex direttrice dei contenuti digitali del Guardian e oggi docente alla Scuola di giornalismo della Columbia.

Bell interviene al festival del giornalismo di Perugia annunciando la catastrofe. Presenta un rapporto che ha pubblicato per il Tow Center For Digital Journalism, una struttura che ha fondato e che dirige con lo scopo di individuare il futuro dell’informazione e aiutare il mondo dei media a prepararsi. Il rapporto si intitola ‘Giornalismo post-industriale’, e nell’introduzione recita: “Questo saggio non è sul futuro dell’industria dell’informazione, sia perché buona parte di quel futuro è già arrivato, sia perché non esiste più una cosa che si possa chiamare l’industria dell’informazione”.

Bell racconta di Scotus blog, un sito gestito da una coppia, marito e moglie, entrambi avvocati, specializzato nelle notizie che riguardano la Corte suprema. Un’autorità in quel campo. Il giorno nel quale la Corte suprema ha deciso sulla riforma sanitaria voluta da Barack Obama, questo sito, che conta normalmente 30mila utenti, è esploso fino ad averne milioni. “Nessuno – racconta Bell – era in grado di capire bene la notizia. La Cnn ne ha dato una interpretazione errata per dieci minuti, prima di correggersi”. Scotus blog è stata in grado di riportare correttamente tutto. Il futuro, secondo Bell, sono la specializzazione e l’identità. Due ottimi esempi, racconta, sono Propublica e l’Huffington Post, due esperienze “su cui nessuno avrebbe scommesso”, sottolinea. “Cosa ci insegnano? che una delle risposte è nella specializzazione. Bisogna essere bravi in quello che si fa e farlo meglio degli altri”.

Il problema dei grandi giornali con i nuovi media, sottolinea, spesso non è le risorse ma la rigidità: hanno un processo decisionale strutturato e gerarchico, difficile da superare. “Il passaggio fondamentale che stiamo attraversando ora – racconta – è verso l’individualismo. Chiunque si occupi attivamente di giornalismo ha pensato a una riorganizzazione. Il problema però è che si parte sempre dal brand e mai dal singolo giornalista e dalle sue necessità. Deve cambiare ciò che insegnamo nelle scuole di giornalismo. Le abilità chiave saranno sempre quelle di saper riconoscere e raccontare una storia, ma il giornalista dovrà anche conoscere bene la rete da un punto di vista tecnico. Finora abbiamo insegnato ai giornalisti a lavorare per soddisfare le esigenze degli editori. Nei prossimi dieci anni dobbiamo invece creare giornalisti che siano i leader dell’industria del giornalismo”.

Una piccola e giovane società che in Italia ha saputo cogliere perfettamente questa nuova tendenza del mercato è Informant (www.inform-ant.com), che mette a disposizione dei giornalisti gli strumenti per creare un ebook e venderlo: obiettivo “incoraggiare a leggere approfondimenti, unire buone pratiche del giornalismo e respiro narrativo e trasformare dati e informazioni in conoscenza”. Informant si definisce “un editore nativo digitale che si dedica al long-form journalism”. Quello dell’ebook è un mercato ancora decisamente contenuto in Italia, ma in rapida crescita. Un mercato che potrebbe offrire qualche risposta.

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