Foto pubblicata per gentile concessione del centro sociale Gabrio
Torino, 30 mar. (LaPresse) – Nuova occupazione a Torino: circa 200 rifugiati dell’Emergenza Nord Africa hanno occupato stamane uno stabile nel complesso del villaggio olimpico, in via Giordano Bruno 101. La questione si trascina da tempo e non riguarda solo il Piemonte: con le rivolte della privamera araba, nel febbraio 2011 nel nostro Paese era scattato lo stato di emergenza, per gestire l’arrivo dei profughi, in gran parte nigeriani, tunisini, somali ed eritrei, in arrivo soprattutto dalla Libia. Il piano prevedeva un piano di accoglienza con l’inserimento in progetti di integrazione. A fine febbraio, terminato lo stato di emergenza, e le sue varie proroghe, i rifugiati hanno perso la possibilità di essere ospitati e si ritrovano senza un tetto.
“Quella dell’emergenza nord-Africa – denunciano in una nota gli attivisti del centro sociale Gabrio, che hanno contribuito all’occupazione – è una tipica storia italiana fatta di promesse, inefficienze, organizzazione improvvisata e business. Una storia iniziata due anni fa, quando durante le primavere arabe e la guerra in Libia (bombardata dalla Nato) migliaia di profughi si sono riversati sui barconi per raggiungere Lampedusa”. “L’allora ex ministro Roberto Maroni – ricordano – dichiarava l’inizio dell’invasione da parte di un milione e mezzo di profughi che avrebbero messo in ginocchio l’Italia e il 12 febbraio 2011 puntualmente veniva dichiarato lo stato di emergenza sul territorio nazionale”.
Circa 23mila persone, spiegano, in questi due anni “sono stati letteralmente parcheggiati in strutture quali hotel, campi e così via, gestiti dal quel variegato mondo che è il privato sociale; cooperative, ong, centri diocesani e ancora altri soggetti che hanno percepito circa 46 euro (chi più chi meno) al giorno per ogni richiedente asilo assegnato alle loro strutture. Si tratta di somme molto elevate per progetti che non hanno mai avuto la logica e la progettualità di percorsi di accoglienza all’insegna del diritto e della tutela della dignità, ma semplicemente, come già abbiamo ribadito più volte, quella dell’emergenza”.
“Un’emergenza – puntualizzano – costata alle casse pubbliche un miliardo e trecento milioni di euro con programmi che dovevano garantire corsi di italiano e di avviamento professionale, con l’impiego di assistenti sociali, mediatori linguistici e avvocati, ma che alla fine è scaduta nell’assistenzialismo più becero; vitto, alloggio e poco più. E così dopo proroghe su proroghe si è giunti al 28 febbraio 2013 quando il governo dichiara cessata l’emergenza, concede un permesso umanitario della durata di un anno (la maggior parte scadranno al 31 dicembre 2013) e invita i rifugiati ad abbandonare le strutture dietro lauta ricompensa di 500 euro”.
“I giorni immediatamente successivi al 28 febbraio – proseguono – ci raccontano in tutta Italia di situazioni paradossali; i rifugiati buttati fuori dalle strutture e abbandonati al proprio destino senza nessuna soluzione abitativa o di lavoro, senza la possibilità di lasciare l’Italia a causa della convenzione di Dublino, semplicemente divenuti fantasmi in un Paese che ha fatto della violazione dei diritti dei rifugiati e dei migranti tutti un triste primato. A Torino e dintorni la situazione non è diversa. In tantissimi dopo il 28 febbraio si sono ritrovati per strada a bazzicare tra parchi, stazioni e dormitori”.
Scatta così oggi la nuova occupazione. Perché proprio al villaggio olimpico? “Il villaggio olimpico – spiegano gli attivisti – è più che mai il simbolo di quella politica che ha trascinato questa città nel baratro dell’indebitamento. Costato 145 milioni di euro, sette anni dopo i fasti delle olimpiadi invernali quello che resta nei pressi dell’ex villaggio olimpico è soltanto degrado e aria di abbandono. Centinaia di alloggi lasciati vuoti ed un area su cui già si manifestano le ennesime mire speculative in città”.
© Copyright LaPresse - Riproduzione Riservata