Roma, 30 lug. (LaPresse) – “Mai nessuno mi ha detto che la morte del mio bambino era dovuta a uno scambio di flebo, ma solo all’insufficienza respiratoria dovuta allo stato del prematuro”. Jacqueline De Vega, davanti al procuratore aggiunto, Leonardo Frisani che insieme al suo pool sta cercando di far luce sulla morte del neonato, filippino, deceduto il 29 giugno nell’ospedale romano San Giovanni, ha confermato anche oggi di non essere stata messa al corrente, né dai medici, né dagli infermieri, che il decesso del suo piccolo Marcus poteva essere dipeso dallo scambio di flaconi. La signora, che nella vita fa la badante, è stata ascoltata più di due ore.

Davanti al magistrato la donna, ha, quindi, ha ribadito di aver appreso dell’errore solo dai giornali ed ha ricostruito l’intera vicenda e ripercorso tutti i colloqui avuti con il personale sanitario. In sostanza la donna ha sottolineato che tutto il personale ha sempre “additato la crisi e la successiva morte del piccolo Marcus per una insufficienza respiratoria dovuta allo stato prematuro”. Questa linea di non riferire la vera causa del decesso, sempre secondo quanto raccontato dalla donna al pm, sarebbe stata mantenuta anche dopo il decesso di Marcus.

Nell’inchiesta della procura di Roma risultano al momento venti indagati, di cui sette medici e tredici infermieri. Contro di loro si procede per omicidio colposo. Venerdì, sul corpo del piccolo, è stata effettuata una seconda autospia, dalla quale è emerso che il bimbo, al momento della nascita era sano, nonostante fosse prematuro. L’ispezione effettuata dai tecnici del ministero della Salute al San Giovanni ha evidenziato nella documentazione medica lacune, cancellature e punti da chiarire. Per questa ragione, infatti, la procura potrebbe aprire un fascicolo anche con l’accusa di falso.

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