Roma, 6 lug. (LaPresse) – Sono stati individuati e denunciati due giovani che avevano pensato di rubare l’identità a Giulio Tremonti e aprire a suo nome un profilo Facebook che nel giro di pochi giorni ha calamitato quasi 5mila amici inutilmente orgogliosi di aver preso contatto con il ministro dell’Economia e delle Finanze. Le indagini della procura di Roma, coordinate dal procuratore aggiunto Nello Rossi e dirette dal sostituto Giuseppe Corasaniti, hanno visto impegnate le fiamme gialle del Gat nucleo speciale frodi telematiche, del nucleo di polizia tributaria di Roma e della tenenza di Pontassieve (Firenze) che in tempi record hanno dato un nome ed un viso ai responsabili del furto di identità.

I due ladri di identità, rintracciati uno in provincia di Torino e l’altro in quella di Firenze, sono due trentenni in possesso di ottime competenze informatiche che dopo aver avviato la pagina truffaldina hanno ‘postato’ qualche messaggio fuori protocollo che non è certo passato inosservato. Nonostante i collegamenti al social network siano avvenuti da luoghi sempre diversi, gli 007 tecnologici della gdf hanno ricostruito ogni singolo passaggio e schedato persino la configurazione dei computer utilizzati fino a realizzarne un dettagliatissimo identikit. La tempestiva ed efficace collaborazione da parte della direzione di Facebook ha consentito di acquisire immediatamente i ‘log’ con le informazioni necessarie per l’attribuzione delle puntuali responsabilità per ciascuna delle operazioni compiute fraudolentemente sul falso profilo del ministro.

Ai due giovani non è bastato sfruttare connessioni intestate ad aziende con cui avevano rapporti di lavoro oppure riconducibili ad amici e conoscenti, perché l’incrocio dei dati acquisiti ed analizzati ha permesso ai finanzieri di andare a colpo sicuro con attività di polizia giudiziaria davvero chirurgiche. Un po’ di paura anche per le aziende presso le quali erano avvenute le connessioni: la circostanza è stata l’occasione per riflettere sull’uso indebito delle dotazioni di ufficio e sulle possibili riverberazioni civili e penali previste dalla legge 231 in capo al datore di lavoro. I due ragazzi, accusati per il reato previsto e punito dall’articolo 494 del codice penale, rischiano un anno di reclusione.

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