La richiesta della Procura di Milano giudicata inaccettabile dall'associazione Felicita
Continua la lotta dei familiari dei pazienti morti al Pio Albergo Trivulzio per vedere riconosciuta “verità e giustizia” per i loro cari. L’archiviazione dell’inchiesta “rappresenterebbe un fallimento nella ricerca della verità e sancirebbe l’ingiustizia”, secondo Alessandro Azzoni, presidente dell’associazione Felicita, che in questi mesi ha riunito anche i parenti di altre Rsa lombarde e italiane. La richiesta di archiviazione, avanzata della Procura di Milano dopo 18 mesi di indagini, ad Azzoni e agli altri parenti di anziani ricoverati appare inaccettabile. Tramite il loro legale, l’avvocato Luigi Santangelo, presenteranno opposizione e chiederanno al giudice per le indagini preliminari di valutare “l’imputazione coatta” per i reati che erano stati ipotizzati dalla procura. Ma c’è di più. Il legale ha anticipato anche l’intenzione di fare istanza al gip, chiedendo di inviare nuovamente ai pm il fascicolo perché vaglino le ipotesi di violazioni delle norme sulla sicurezza sul lavoro che sono emerse nel corso dell’inchiesta.
Le carenze più gravi riguarderebbero la gestione dei reparti e la formazione e la mancanza di dispositivi di sicurezza individuali distribuiti ai dipendenti della Rsa, molti dei quali si sono ammalati. E proprio su questi punti i pm hanno raccolto le testimonianze di medici, infermieri e personale sanitario del Trivulzio, che hanno lamentato diverse irregolarità nell’isolamento dei pazienti e una successiva sottovalutazione dell’impatto del Covid. Riscontrati anche numerosi problemi nell’adozione delle misure necessarie per evitare il diffondersi del contagio e una sottovalutazione del rischio da parte del direzione del Trivulzio.
Le indagini per epidemia colposa e omicidio colposo plurimo, condotta dai pm Mauro Clerici e Francesco De Tommasi, coordinati dal procuratore aggiunto Tiziana Siciliano, hanno preso in esame 418 cartelle cliniche di pazienti morti al Pat tra gennaio e aprile del 2020. Quasi uno su tre è deceduto a causa del virus. Nello stesso periodo si è registrato un tasso di mortalità del 40% più alto rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente. Abbastanza perchè nel registro degli indagati venissero iscritti sia il direttore generale della struttura, Giuseppe Calicchio, sia il Pio Albergo Trivulzio. Per i pm , però, non ci sarebbero sufficienti prove perchè il caso arrivi in aula.
Dalla lettura della richiesta di archiviazione, invece, per Azzoni emergono “gravi carenze nella gestione dell’epidemia” da parte della direzione del Trivulzio. E si è riscontrato “addirittura un atteggiamento volto a nascondere e occultare le difficoltà piuttosto che a risolverle”. Con queste premesse, per i familiari è pressochè impossibile accettare l’epilogo delineato dalla procura. “Oggi noi parenti rifiutiamo di non ricevere risposta a questa fondamentale domanda di giustizia – sottolinea – . Non possiamo accettare che questa verità storica non passi attraverso il dovuto vaglio giuridico”.
Oltre che per i casi del Trivulzio, è stata avanzata la richiesta di archiviazione anche per i molti decessi registrati in altre 7 Rsa milanesi e lombarde. Resta ancora aperto, invece, il fascicolo relativo all’Istituto Palazzolo Fondazione Don Gnocchi di Milano, dov’erano deceduti per Covid 140 ospiti. Il Tribunale del Lavoro di Milano ha confermato in appello la revoca del licenziamento di Cheickna Hamala Diop da parte delle cooperativa sociale Ampast, che fornisce personale sanitario alla Rsa. Diop, assistito dall’avvocato Romolo Reboa, era stato licenziato il 7 maggio 2020 dopo aver denunciato, con altri 17 colleghi il Don Gnocchi per la carenza di mascherine e la gestione della pandemia. In primo grado il licenziamento era stato revocato il 10 maggio scorso e il 20 ottobre la sentenza è stata confermata anche in secondo grado. Diop, però, nel frattempo ha lasciato l’Italia, dov’era arrivato dal Mali all’età di 10 anni, e si è trasferito a Parigi alla ricerca di una situazione lavorativa più tranquilla.
Quello di Diop non è l’unico caso di ritorsioni nei confronti degli operatori sanitari delle Rsa che hanno avuto il coraggio di denunciare. Molti di loro, da quanto emerge da una ricerca di Amnesty International, sono stati sottoposti a procedimenti disciplinari iniqui e sono andati incontro a ritorsioni da parte dei datori di lavoro. “Operatrici e operatori sanitari e sociosanitari delle strutture residenziali sono stati in prima linea nella lotta contro la pandemia da Covid-19 e sono stati elogiati dal governo italiano per il duro lavoro svolto in condizioni terribili. Tuttavia, queste stesse persone sono state ridotte al silenzio dai loro datori di lavoro quando hanno cercato di esprimere preoccupazione sul trattamento degli ospiti anziani e sulla propria sicurezza”, racconta Marco Perolini, ricercatore di Amnesty International sull’Europa occidentale. Una sorte, a quanto denunciano i sindacati, condivisa anche da alcuni lavoratori del Trivulzio.
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