L'ex segretario Pd si è ripreso la scena. Più di qualsiasi altro sembra incarnare l'opposizione all'esecutivo giallo-verde restando il punto di riferimento del mondo di sinistra

Qualcuno si è peritato di prendergli il tempo. Quanto ha parlato Giuseppe Conte, il presidente del Consiglio, nel suo primo discorso al Parlamento? Un'ora, undici minuti e undici secondi. E se non è record poco ci manca. Ovviamente: bene, benissimo per la maggioranza; male per una parte dell'opposizione, addirittura malissimo per un'altra parte ancora. Non è stato algido, il premier, anche se a tratti è andato oltre e ha regalato la sensazione di pestare un po' troppo sui toni. Enfasi da prestazione? Recita a soggetto? In fondo, nessuno sa davvero cosa pensi sui temi caldi della campagna elettorale, pane duro per la battaglia politica e per quasi 90 giorni di trattative. Non si è mai esposto, se non quando è stato investito dell'incarico di formare l'esecutivo. Dubbi? Sì, dubbi. Non a caso, Renzi l'ha bollato come 'collega', cioè un presidente non eletto, proprio come lui.

Conte è stato definito sovranista in doppiopetto, oppure megafono dei due diarchi seduti al suo fianco, Luigi Di Maio a destra, Matteo Salvini a sinistra. È andato meglio nel discorso dell'ora di pranzo che nelle risposte consegnate ai senatori a tarda sera: ha mantenuto un aplomb quasi british allorché è finito nel mirino di chi non ce l'ha con lui ma con coloro i quali lo hanno scelto per stare lì, nella stanza dei bottoni dell'Italia che desidera ripartire. E pure in fretta. Ha citato Dostoevskij, Conte, e qualcuno (il pentastellato Morra) ha subito sottolineato il profilo diverso rispetto a chi, nel giorno dell'insediamento, aveva scomodato i Jalisse, il duo che vinse un lontano Sanremo con 'Fiumi di parole'. Perdoni, senatore, ma la sensazione è che siano comunque tutte canzonette.

Nel martedì di Conte e della fiducia al nuovo Governo, delle chiacchiere da emiciclo e degli spetteguless da Transatlantico, Renzi è riuscito a riappropriarsi del suo personaggio e – probabilmente – del Partito Democratico. Nessuno gli ha preso il tempo, no, però tutti hanno teso le orecchie per non perdersi un sospiro dell'ex segretario, ironico e chirurgico, esondante e sferzante. Renzi più di qualsiasi altro sembra incarnare l'opposizione all'esecutivo giallo-verde; Renzi che non è un semplice senatore di Scandicci ma, gradito o sgradito, resta il punto di riferimento del mondo di sinistra. Ha un passo diverso in confronto agli altri, che vorrebbero ma non possono. Non per cattiva volontà, solo perché non ce la fanno. Matteo si è preso la scena e l'ha riconsegnata dopo un quarto d'ora, ha definito il perimetro del suo opporsi e piantato alcuni paletti all'interno del Pd. Con forza e con quel briciolo di arroganza che insieme incute rispetto e antipatia.

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