Sono state rinvenute nell'edificio della Nunziatura Apostolica, in via Po a Roma. Potrebbero appartenere anche a Mirella Gregori, un'altra ragazza scomparsa nel 1983
Il caso Emanuela Orlandi potrebbe non essere chiuso. O almeno è quello che si spera, dopo il ritrovamento di alcune ossa nella Nunziatura apostolica in Italia, l''ambasciata' della Santa Sede a Roma a Villa Giorgina, in via Po 27. Il Vaticano e la procura di Roma indagano per capire se i resti siano compatibili con il Dna di Emanuela Orlandi (22 giugno 1983) o di Mirella Gregori (7 maggio 1983), entrambe 16enni ed entrambe scomparse a Roma nel 1983. "Il Corpo della Gendarmeria è prontamente intervenuto sul posto, informando i Superiori della Santa Sede che hanno immediatamente informato le Autorità italiane per le opportune indagini e la necessaria collaborazione nella vicenda", fa sapere il Vaticano.
Il procuratore capo di Roma, Giuseppe Pignatone, ha delegato la polizia scientifica e la squadra mobile della Questura di Roma per stabilirne l'età, il sesso e la datazione della morte. È dello scorso anno l'ultima lettera-appello di Pietro Orlandi, fratello di Emanuela, indirizzata a Papa Francesco: "In Vaticano – si legge – c'è chi sa e da tanti anni tace, diventando complice di quanti hanno avuto responsabilità in questa vicenda". Secondo Pietro, "il dossier 'Rapporto Emanuela Orlandi' a disposizione, nel 2012, della Segreteria Particolare di Papa Benedetto XVI, contenente informazioni e nomi che potevano condurci alla Verità, stava per essere consegnato a un magistrato italiano, ma in Vaticano vennero meno alla parola data e il fascicolo rimase occultato".
Cinque giorni dopo la sua elezione, il 18 marzo 2013, il Papa argentino incontrò Pietro Orlandi assieme alla madre all'uscita dalla chiesa vaticana di Sant'Anna. "Stringendomi la mano mi ha detto 'Emanuela sta in cielo', sono rimasto di ghiaccio", raccontò il fratello, che ha poi chiesto di essere ricevuto dal pontefice per chiedere quando e in quali circostanze sua sorella sarebbe morta, ma che non ha ancora ricevuto udienza.
LA COLLABORAZIONE DEL VATICANO – Giovanni Paolo II intervenne otto volte in meno di un anno con appelli pubblici per la liberazione della ragazza, figlia di un commesso della Casa Pontificia. Wojtyla si recò personalmente a visitare la famiglia e si interessò per garantire un posto di lavoro al fratello Pietro. Il cardinale Agostino Casaroli, all'epoca Segretario di Stato, seguì personalmente la vicenda, mettendosi a disposizione per i contatti con i rapitori utilizzando una linea telefonica dedicata (il Sisde stesso ebbe accesso al centralino vaticano per ascoltare le chiamate).
Il 4 marzo 1987 la Segreteria di Stato inviò una nota verbale in risposta alla prima richiesta di informazioni presentata dalla magistratura italiana, in cui si specifica che "le notizie relative al caso erano state trasmesse a suo tempo al Pm dottor Domenico Sica". "Tutte le Autorità vaticane hanno collaborato con impegno e trasparenza con le Autorità italiane" e "non risulta che sia stato nascosto nulla, né che vi siano in Vaticano 'segreti' da rivelare sul tema", specificò il 14 aprile del 2012 l'ex portavoce della Santa Sede, padre Federico Lombardi, in risposta ad alcune manifestazioni pubbliche per chiedere al Vaticano la verità sulla ragazza.
"L'attribuzione di conoscenza di segreti alle istituzioni vaticane, senza indicare alcun nominativo – disse Lombardi -, sembra quasi un alibi di fronte allo sconforto e alla frustrazione per il non riuscire a trovare la verità", "non sia questo un motivo per scaricare sul Vaticano colpe che non ha".
A quel tempo le Autorità vaticane, in base ai messaggi ricevuti che facevano riferimento all'attentatore di Giovanni Paolo II, Ali Agca, condivisero l'opinione prevalente che il sequestro fosse utilizzato dalla banda della Magliana per inviare messaggi o operare pressioni sulla carcerazione e agli interrogatori dell'attentatore del Papa. "Non si ebbe alcun motivo – disse Lombardi – per pensare ad altri possibili moventi del sequestro". All'epoca Lombardi comunicò la totale disponibilità del Vaticano a ispezionare la tomba di Enrico De Pedis nella Basilica dell'Apollinare, nella quale si riteneva fosse stato nascosto il corpo di Emanuela. La tomba fu poi aperta il mese successivo
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