Le esponenti dem contro i vertici del partito. Salvini non gradisce Lamorgese e Speranza

Otto donne su ventitré ministri. Nessun titolare dello Sport in un momento di grande sofferenza per il settore. Malumori incrociati dei partiti per quel che riguarda le rappresentanze politiche, mal di pancia – non del tutto nascosti – per alcune figure tecniche. Anche il Governo ‘dei migliori’ guidato da Mario Draghi non è immune alle ‘grane’ post giuramento.

La mancata parità di genere è la scommessa persa in partenza. Solo un terzo della compagine di Governo è rappresentata da donne. Oltre alle tre figure ‘tecniche’ Luciana Lamorgese (confermata agli Interni), Marta Cartabia (titolare della Giustizia) e Cristina Messa (che dirigerà l’Università e la Ricerca), le altre cinque figure femminili presenti nell’esecutivo provenienti dai partiti (Mara Carfagna e Maria Stella Gelmini di FI, Erika Stefani della Lega, Fabiana Dadone del M5S e Elena Bonetti di Italia viva) ricoprono incarichi senza portafoglio. Sul banco degli imputati, tra le forze politiche, finisce il Pd ‘colpevole’ di non avere nessuna donna in Consiglio dei ministri. Nonostante le rassicurazioni di Nicola Zingaretti (“Pur rispettando i criteri di autonomia dei ruoli farò di tutto perché questo si realizzi nel completamento della squadra di governo”), all’interno del partito scoppia il caso: “Per la prima volta nella storia del Pd e dei partiti che lo hanno preceduto, nella delegazione al Governo non c’è una rappresentanza femminile – attacca Debora Serracchiani – Non ci sono donne dem tra i ministri di Draghi non solo perché la logica della stabilità interna ha vinto su quella di genere, ma soprattutto perché non abbiamo ancora preso sul serio la sfida per la leadership”. “Tre ministri dem, nessuna ministra. Lo dico chiaramente: il PD deve scardinare l’assetto delle correnti che schiaccia il protagonismo femminile e impedisce il rinnovamento”, le fa eco Laura Boldrini. E se parla di “ferita”, di “battuta d’arresto” e “dato politico che brucia” Cecilia D’Elia, portavoce della conferenza delle donne democratiche, Anna Ascani, viceministra della Scuola nel Conte II, invita le colleghe a lavorare “a una leadership femminile più solida e riconosciuta”.

Non solo la questione femminile, però. Nell’anno degli stadi senza pubblico, di palestre e piscine chiuse da mesi pesa l’assenza di un ministro per lo Sport. La delega potrà essere assegnata nei prossimi giorni, ma non mancano le voci critiche. “Spiace, devo ammetterlo, che non ci sia un Ministero per lo Sport: spero che si lavori per un Sottosegretario che possa seguire questo importante settore”, dice l’ex Luca Lotti. “Il Ministro dello sport deve essere una priorità in un Governo moderno – attacca il pentastellato Simone Valente – Se ancora si pone lo sport all’ultimo posto delle priorità nello sviluppo di un Paese, allora vorrà dire che dovremo lavorare con il doppio delle forze per colmare questo vuoto non più accettabile”. Prova a restare ottimista il numero uno del Coni Giovanni Malagò: “Il mondo dello sport ha grande fiducia nel presidente Mattarella che da sempre ha dimostrato una sensibilità fuori dal comune. Del presidente Draghi conosciamo bene la sua simpatia per il nostro mondo e la sua credibilità. Non possiamo che essere contenti”, azzarda.

Rumoreggiamenti latenti, poi, per quel che riguarda i partiti. Lamenta di aver portato a casa sì tre ministeri, ma senza portafoglio, FI. A Matteo Salvini non sono piaciute troppo le riconferme di Luciana Lamorgese agli Interni (colpevole di aver riscritto i suoi decreti Sicurezza) e Roberto Speranza alla Salute:” Conto che siano affiancati da leghisti in gamba che sappiano contribuire a un robusto cambio di rotta”, spiega. E se la renziana Lisa Noja manifesta le sue “perplessità” per la creazione di un ministero delle Disabilità senza portafoglio, il leader di Iv pur avendo definito “straordinari” i nuovi ingressi, non avrebbe molto gradito la scelta di Enrico Giovannini per i Trasporti. Difficile, poi, per il M5S intestarsi il nome del superministro green Roberto Cingolani: troppe le sue ‘comparsate’ alla Leopolda e alla scuola di politica di Matteo Renzi. “Troppo poco” quindi il ‘bottino’ portato a casa rispetto agli altri se confrontato con i numeri in Parlamento. Ai nastri di partenza, insomma, le recriminazioni non mancano. “Gli interessi dell’Italia vengono prima degli interessi di parte”, ha chiarito Draghi in Consiglio dei ministri. Vedremo.

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