Il 30 ottobre del 1974 a Kinshasa va in scena 'The rumble in the jungle', l'epica sfida per il titolo mondiale dei pesi massimi
“Ali fu condotto dall’arbitro in un angolo. Rimase là, come perso nei suoi pensieri. Mosse i piedi in un rapido ma contenuto passo di danza come per scusarsi di non aver mai chiesto alle proprie gambe di ballare. E guardò all’insù mentre Foreman cercava di risollevarsi come un ubriaco che spera di potersi alzare dal letto per andare al lavoro”. Così riportava lo storico scrittore e saggista statunitense Norman Mailer nel suo libro ‘The Fight – Il combattimento’ che ripercorre la preparazione, il clima, l’evento fase dopo fase, momento dopo momento del match che ha cambiato il volto stesso della boxe mettendo a confronto due idee e due immagini dell’America. Ali-Foreman, lo strenuo difensore dei diritti civili e portavoce della liberazione dell’Africa dal colonialismo contro ‘Big George’, il campione dalla forza bruta il cui peccato capitale fu quello di mostrarsi indifferente, agli occhi della comunità afroamericana, alla lotta per l’integrazione razziale, furono i protagonisti di un match rivoluzionario, non solo sportivo ma anche culturale, gli eroi dai tratti “epici e mitologici” (come ha dichiarato l’oro olimpico di Mosca ’80 Patrizio Oliva a LaPresse in un paragone con la sfida tra Darete ed Entello nell’Eneide virgiliana) di una sfida senza fine.
Il match nello Zaire di Mobuto Sese Seko
Perché anche dopo 50 anni quel 30 ottobre del 1974, nel ring di Kinshasa, nello Zaire dello spietato dittatore Mobuto Sese Seko, vive nel ricordo di chi, in realtà pochissimi, hanno avuto l’onore di poterlo vedere dal vivo, di milioni di statunitensi che l’hanno potuto seguire in tv e di chi, anni dopo, ha potuto godersi quel documentario capolavoro di Leon Gast ‘Quando eravamo re’ che nel 1997 valse l’Oscar. Il coro dei 100mila al grido ‘Ali buma aye’, Ali uccidilo, fu la colonna sonora di ‘The rumble in the jungle’, claim della sfida valida per il titolo mondiale dei pesi massimi che si intrecciò a filo doppio con la storia del ventesimo secolo a partire proprio dalla lotta per l’emancipazione dei neri.
La vittoria di Alì
La vittoria di Alì fu un capolavoro di strategia. L’oro di Roma 60, quando era noto come Cassius Clay, si trovava al culmine del suo talento, della sua potenza fisica ma anche della sua arroganza. Foreman invece si serviva del silenzio, del suo sguardo deciso e della forza dei suoi colpi per zittire e spegnere qualsiasi velleità di successo da parte dei rivale. Con la guardia ben chiusa, danzando sulle corde, Alì fece sfogare l’avversario (“aveva scelto quell’alternativa fin dall’inizio e le corde si sarebbero rivelate sicure come una corsa in monopattino su un parapetto”, scrisse Mailer), incassando una quantità indicibile di colpi per poi sferrare l’attacco e farlo cadere all’ottavo round. Ali si adattò meglio alle condizioni ambientali, ma soprattutto fu più forte mentalmente e fisicamente contro quel gigante che mai andava oltre il quarto round per la capacità di mettere al tappeto con i suoi colpi qualsiasi avversario. Stavolta al tappeto ci andò lui. “Foreman rotolò su se stesso, incominciò a sollevare l’enorme mole che Dio gli aveva dato e che era stramazzata” scrive ancora Maliler che racconta cosa si sono detti all’angolo. “Ti senti a posto?”, “Sì”, disse Foreman. “Beh non preoccuparti. Ormai è storia passata”.
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