Il tribunale federale svizzero ha respinto l'istanza di sospensiva

La marcia è conclusa. Niente Giochi, niente occasione di rivalsa, niente più spiragli o appigli cui aggrapparsi per coltivare il sogno a cinque cerchi per Alex Schwazer . Il Tribunale federale svizzero taglia definitivamente le speranze al marciatore azzurro, oro a Pechino 2008, di poter partecipare alle Olimpiadi di Tokyo. Con una sentenza firmata martedì scorso ma affiorata solo dopo tre giorni di lunghi silenzi, è arrivato il no alla richiesta di riapertura del processo sportivo e alla sospensiva della squalifica di 8 anni comminata dal Tas nell’agosto del 2016 durate le Olimpiadi di Rio. Il giudice Christina Kiss ha, di fatto, preso in considerazione i pareri di World Athletic, della Wada e del Tas (il Tribunale di arbitrato dello Sport di Losanna) che il 7 maggio scorso aveva respinto anche l’ultimo ricorso presentato dai legali di Schwazer sul caso della squalifica per doping con cui il marciatore aveva avanzato una richiesta di “misure provvisorie” chiedendo appunto una sospensione della squalifica, dopo che il gip di Bolzano lo aveva scagionato dalle accuse di doping, sottolineando anzi presunte scorrettezze della World Athletics e dell’Agenzia Mondiale Antidoping.

La presa di posizione del Tas era stata subito interpretata come una cattiva notizia per Alex in vista del responso del Tribunale federale svizzero, sensazioni negative che alla fine sono risultate fondate. Ora Schwazer ha la possibilità di rivolgersi alla Corte europea dei diritti dell’uomo. Ma i tempi sono nettamente più lunghi e comunque non consentirebbero all’atleta di partecipare all’Olimpiade. Il Tribunale federale in verità deve ancora decidere il merito della causa ma il tempo è ormai finito. Secondo quanto si legge nel dispositivo “di regola e per costante prassi nelle controversie come quelle in esame l’effetto sospensivo o altre misure cautelari entrano in considerazione soltanto se, sulla base di un esame sommario dell’incarto, il rimedio di diritto pare molto verosimilmente fondato” mentre “nel caso concreto tale presupposto non è adempiuto”.

Una conclusione, per quanto riguarda la giustizia sportiva, in qualche modo annunciata, che pone fine ad una battaglia lunga e tortuosa. “Ho descritto più volte questa cittadella di Losanna che governa tutta la giustizia sportiva internazionale. C’è il Cio, la Wada, il Tas e il Tribunale di ultimo appello. Cosa manca, solo un addetto alla ghigliottina. Sconfitto o deluso? Abbiamo corrisposto al desiderio di Alex di provare e provare per salvare questa Olimpiade, sia io che l’avvocato in tutti i modi gli abbiamo detto che non avremmo fatto questo passo, avrei terminato con la vittoria al tribunale di Bolzano dopo una vera indagine di 4 anni e mezzo e non con queste cose che sono delle simulazioni di indagine. Avevamo anche sconsigliato ad Alex di andare al Tas nell’agosto del 2016. Perché il sistema della giustizia sportiva è chiaro. Abbiamo cercato di aiutarlo e di corrispondere questo suo desiderio. Ma, come si dice, contro la forza ragion non vale”, ha dichiarato con profonda amarezza Sandro Donmati, il tecnico del marciatore e memoria storica dell’antidoping italiano. “Il lato positivo sarebbe quello che attraverso questa vicenda si capisca che questo potere della giustizia sportiva è incontrollato e incontrollabile. E’ autorefenziale, i loro procedimenti sono tutti a correre che si risolvono in delle ore o in pochi giorni. E questa non è giustizia. Se hai come avversari loro loro stessi sei spacciato. Si è cercato di ridicolizzare il giudice di Bolzano. Abbiamo saputo tutto questo sui siti, sapere di questa decisione del Tribunale federale svizzero in questo modo la considero una umiliazione definitiva”, ha aggiunto.

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