L'inchiesta del Sussidiario: il campione del marciatore azzurro sarebbe stato contaminato
L'esame delle urine che nel 2016 costò a Alex Schwazer otto anni di squalifica sarebbe stato contaminato e manomesso. È quanto si apprende dall'inchiesta di Nando Sanvito del Sussidiario, che ha svelato in anteprima i risultati dell'esame del Dna effettuato dal Ris di Parma su alcuni campioni esaminati, al tempo della squalifica prima delle Olimpiadi di Rio 2016, dal laboratorio di Colonia.
I risultati del Ris verranno depositati nei primi giorni di settembre, ma le antecipazioni fornite dal Sussidiario svelano una concentrazione troppo elevata di Dna del marciatore all'interno dei campioni. Quest'anomalia è il primo segnale di una presunta contaminazione delle provette, le stesse che il laboratorio di Colonia si rifiutava di consegnare al Tribunale di Bolzano.
Solitamente il Dna presente nelle urine dopo una settimana si riduce a un settimo rispetto alla concentrazione iniziale. Dal primo gennaio del 2016, giorno delle analisi effettuate a Colonia, agli esami del Ris sono trascorsi 26 mesi, a questo punto il campione dovrebbe contenere solamente qualche nanogrammo di Dna di Schwazer. I risultati, invece, segnalerebbero un livello di 437 nanogrammi microlitro nel campione A e 1187 nel campione B.
Quest'anomalia lascerebbe credere che all'interno delle provette sia stato inserito del Dna di Schwazer nel tentativo di coprire un Dna estraneo, quello risalente a urine che contenevano effettivamente sostanze dopanti. L'esame andrebbe quindi a confermare quanto dichiarato dall'atleta due anni fa: "Sono stato sicuramente incastrato e quello che adesso resta da capire è come e da chi".
Per Schwazer si è trattato della seconda accusa di doping. Il primo episodio risale al 2012 prima delle Olimpiadi di Londra, ma il quell'occasione il marciatore aveva ammesso l'uso di eritropoietina e nel processo penale aveva patteggiato una condanna ad otto mesi.
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