Restano 150 punti in palio e Vettel ha dalla sua un precedente benaugurante: nel 2010 alla guida della Red Bull
Una brutta caduta nel momento forse più delicato della stagione, dalla quale non sarà facilissimo rialzarsi. La Ferrari rientra dall'amarissima trasferta asiatica con un carico di sfiducia. Non si può nascondere che il flop di Singapore, pista dove sulla carta il pole-man Sebastian Vettel, grazie ad una delle migliori qualifiche disputate in carriera, aveva tutte le carte in regola per riprendere la marcia Mondiale, rappresenta un duro colpo alle ambizioni del Cavallino. Soprattutto perché la festa al traguardo di Lewis Hamilton, il quale alla vigilia ammetteva di sperare in un miracolo per la vittoria, sembra spianare la strada alla Mercedes: l'inglese vanta ora un vantaggio di 28 punti sul tedesco, un discreto tesoretto da gestire nel rush finale del Mondiale che ha ancora sei appuntamenti nel menù.
Il disastro iniziale di Marina Bay sarà a lungo oggetto di dibattito da parte di tifosi ed appassionati, divisi tra chi incolpa Vettel, chi assegna responsabilità a Raikkonen e chi accusa il 'solito' Verstappen. Opinioni che tuttavia sfumano davanti a quelli che sono i fatti: l'assoluzione di tutti i piloti decisa dai giudici, e la sensazione di non aver azzeccato per il via la strategia ideale, vanificando così il gran lavoro che ha portato sabato alla pole di Vettel e al quarto posto di Raikkonen, alle spalle delle Red Bull, in griglia di partenza. Con le Mercedes ad inseguire in terza fila, era la situazione migliore che potesse augurarsi il Cavallino.
C'è chi pensa, ma si potrebbe discutere per giorni, che Raikkonen dovesse badare più a 'proteggere' Vettel che non a cercare di bruciare Verstappen. Conoscendo la propensione dell'olandese a non alzare tanto facilmente il piede dall'acceleratore, il rischio di una collisione si alzava notevolmente. Ed è quello che si è verificato, con le due monoposto che sono poi finite contro quella di Vettel. Dal canto suo, il tedesco ha probabilmente sbagliato nel voler chiudere troppo la strada a Verstappen quando lo ha visto arrivare. Un errore, se vogliamo, atipico per un 'calcolatore' come lui. E che gli è costato la gara, oltre a compromettere i piani per il Mondiale. Il tutto per la gioia di Hamilton che, a fine gara, ha riconosciuto di essere stato baciato dal cielo per l'harakiri delle Rosse: "Oggi Dio mi ha benedetto, ho sfruttato al massimo l'incidente". Quanto all'olandese, forse per una volta tutte queste colpe non le ha. Ma resta, anche questa, una semplice opinione.
La certezza è che la Ferrari non può permettersi di archiviare tanto in fretta la maledetta domenica di Singapore: indietro non si torna, il danno è fatto ma gli errori vanno analizzati e le responsabilità divise per trarre una lezione da applicare nell'immediato futuro. Il 1° ottobre, a Sepang, non saranno ammessi altri errori. Quanto alle speranze di rimonta Mondiale, l'imperativo è crederci. Del resto, i numeri non sono così antipatici come può sembrare: restano 150 punti in palio e Vettel ha dalla sua un precedente benaugurante. Nel 2010, con il tedesco alla guida della Red Bull, a sei Gran Premi dal termine i punti di ritardo da Hamilton erano 31. Al termine Vettel trionfò. Per dirla alla Rocky Balboa, è finita si dice alla fine e anche il team principal Maurizio Arrivabene lo ha ricordato: "Quello che possiamo promettere è che non è finita. E' più difficile ma non è impossibile. Lotteremo fino all'ultima curva del campionato. Ci rifaremo. La macchina è ottima, abbiamo due ottimi piloti e c'è tutta l'intenzione di lottare fino alla fine".
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