Torino, 24 nov. (LaPresse) – “Ho speso molti soldi per alcool, donne e macchine veloci. Il resto l’ho sperperato”. Basterebbe questa frase, la sua più celebre, per raccontare chi è stato George Best. Uno dei giocatori più talentuosi di tutti i tempi, sicuramente il più grande calciatore britannico di sempre.
La classica ala destra, ruolo rivestito con uno strepitoso mix di velocità e tecnica. Geniale e carismatico in campo, ma anche folle ed esagerato fuori. Ribelle e sfrenato, in pieno stile anni Sessanta. Caratteristiche che hanno reso l’attaccante nordirlandese indiscutibile idolo dei tifosi, icona immortale, regalandogli per l’eternità il soprannome di ‘quinto Beatle’. Una delle prime vere ‘star’ del pallone, un David Beckham ante litteram, corteggiato da tabloid e sponsor.
Best, nome omen, moriva il 25 novembre di dieci anni fa, per un’infezione epatica lasciata in eredità da una vita di eccessi, soprattutto alcool. Una battaglia, quella con la bottiglia, portata avanti fino alla fine di un’esistenza esagerata e dove non si è fatto mancare nulla. Nato e cresciuto a Belfast, nel pieno di un’adolescenza difficile, a 15 anni, Best viene notato dal Manchester United che lo fa esordire in campionato ad appena 17 anni. Con i Red Devils, sotto la guida del mitico Matt Busby, vince due campionati e una Coppa Campioni. In tutto saranno 137, moltissime da antologia del calcio, le reti siglate in 361 partite con lo United. Prodezze che gli valgono, nel 1968, la consacrazione del Pallone d’Oro.
La fine del legame con i Red Devils a 28 anni coincide con l’inizio del declino da calciatore. Inizia il suo personale giro del mondo che lo porterà a vestire, fino a metà degli anni Ottanta, diverse maglie toccando persino Sudafrica, Hong Kong e Australia. I problemi di alcol però iniziano a chiedere il conto, che si rivelerà salatissimo. Nel 2000, viene ricoverato per gravi problemi al fegato. Cinque anni dopo, muore in un letto di ospedale di Londra. Pochi giorni prima, Best affida il suo ideale ‘testamento’ ad un tabloid, al quale chiede di immortalarlo nella sua ultima immagine per il pubblico accompagnandola con la frase ‘Non morite come me’.
Il prezzo da pagare per una vita vissuta ai mille all’ora, ma che non gli ha impedito di scalare l’olimpo degli dei immortali del pallone.
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