Di Virginia Michetti

Torino, 18 dic. (LaPresse) – Tra i big in gara al 64esimo Festival di Sanremo ci sono i Perturbazione, band piemontese tra le più amate del circuito indipendente italiano. Il sestetto di Rivoli ha pieno diritto di ascriversi tra i grandi: attivi da più di vent’anni – si sono formati a fine anni ’80 a Rivoli e non si sono più fermati – contano decine di collaborazioni prestigiose, da John Vignola che ha prodotto il loro disco di esordio ‘Waiting to happen’ nel 1998 a Dargen D’Amico, Erica Mou e Luca Carboni nel 2013, otto album all’attivo di cui sette in studio, e soprattutto un’intensa attività live in cui esprimono al meglio le sfaccettature che li rendono una creatura rara e preziosa dell’ambito musicale italiano.

Stasera il cantante Tommaso Cerasuolo e il chitarrista Gigi Giancursi andranno a festeggiare con gli altri compagni di band – ovvero Elena Diana, violoncello, i fratelli Cristiano e Rossano Lo Mele, rispettivamente chitarra e batteria, e il bassista Alex Baracco -. “Poi da domani ci preoccuperemo”, scherzano. Ma prima raccontano a LaPresse le impressioni a caldo. “Di questi tempi in cui sembra tutto andare male, anche nella musica, sarebbe bello vivere con un sogno. E stavolta è successo”, dice Gigi.

Per i Perturbazione il teatro Ariston sarà la grande occasione di infrangere un tetto di vetro dell’underground e di farsi conoscere dal grande pubblico. “È incredibile”, esordisce il chitarrista. Cambierà tutto, gli si fa notare: “Ma meno male! A essere cantanti di provincia ci si rompe le palle, è bello poter vedere finalmente uno spogliatoio di serie A”. Quando lo avete saputo? “Ieri sera, ma non ci abbiamo creduto finché non lo abbiamo visto l’annuncio ufficiale su Rai1. In questi anni – racconta – abbiamo saputo talmente tante cose che poi non si sono verificate che non ce l’aspettavamo. È stato liberatorio”. Non è la prima volta che la band torinese prova a rientrare nella rosa del Festival. “Ci proviamo – racconta Gigi – dai tempi di ‘In circolo’ (il loro secondo disco del 2002, ndr) e ogni anno ci avvicinavamo sempre di più senza mai arrivarci”.

“Suoniamo da tanti anni, ma non abbiamo questa grande notorietà – spiega con la modestia gentile che gli è propria il cantante Tommaso Cerasuolo – ho già letto commenti qua e là di gente che si chiede chi siano questi Perturbazione. Ci sarà il fattore novità, che è il motivo per cui siamo contenti di andarci. Siamo proprio contenti, senza atteggiamenti strani o velleità particolari, pensando di venire da ‘un mondo migliore’ o chissà che. Già solo esserci è una cosa fantastica e vediamo di godercela. Non ci sentiamo outsider, e ci andiamo con la dignità del palco su cui saliremo”. “Poi c’è anche un aspetto antropologico – aggiunge scherzando- dopo tutti questi anni, finalmente i parenti ti dicono ‘Ma allora lo fai veramente!'”.

Sui due brani in gara sono giustamente molto abbottonati, ma concedono una descrizione: “‘L’Italia vista dal bar’ è uno spaccato dell’Italia che cerca di raccontare con uno sguardo che non è né accusatorio né declamatorio la realtà di adesso da un luogo frequentato da tutti. Invece ‘L’Unica’ è più esistenziale e passionale”, spiega Gigi. “Sono due brani molto diversi – aggiunge Tomi – uno riflette i Perturbazione più elettronici dell’ultimo disco (‘Musica X’, Mescal, ndr), l’altro invece è nel nostro stile più classico, con chitarra e violoncello. Mi piace la contrapposizione tra loro e sarà interessante vedere quale dei due passerà il primo turno”.

Il cambio di rotta del Festival negli ultimi anni è evidente, con scelte che riflettono maggiormente la musica ‘là fuori’: come lo ha definito Fabio Fazio, “Un festival all’insegna della contemporaneità”. “Al di là di noi – nota Gigi – penso sia importante che ci sia finalmente maggiore aderenza tra la musica portata ‘lì’ e la realtà, con artisti che non vengono tirati fuori ‘dalla naftalina’ una volta all’anno, ma che hanno una vera attività dal vivo. Quest’anno ci sono le premesse perché sia un bel festival. E stavolta, invece di commentarlo da casa, lo vivremo dal di dentro”.

Foto di Paolo Pavan – courtesy Mescal

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