Cinquantanove minuti e una manciata di secondi in cui Matteo Salvini ha potuto raccontare la sua verità. Senza che nessuno potesse obiettare alcunché, da un “palco” del tutto particolare, il banco degli imputati dell’aula bunker del carcere Ucciardone di Palermo dove questa mattina il ministro delle Infrastrutture e dei Trasporti è stato interrogato da unico imputato nel processo Open Arms.
Deve rispondere di due reati, sequestro di persona e rifiuto d’atti d’ufficio, che sommati in caso di condanna possono valere 15 anni di carcere. Per la procura di Palermo (in aula l’aggiunto Marzia Sabella e i sostituti Giorgia Righi e Geri Ferrara) è colpevole di aver ritardato di una settimana lo sbarco di 147 migranti a bordo della nave dell’Ong spagnola nell’agosto del 2019 quando era ministro dell’Interno.
Prima di rispondere alle domande di accusa e parti civili ha rilasciato, come è concesso ad ogni imputato, spontanee dichiarazioni. Un momento che il leader leghista attendeva da 21 udienze e per il quale è stato preparato in maniera eccellente dal suo difensore, Giulia Bongiorno, uno dei penalisti più quotati in Italia e allo stesso tempo politica di lungo corso con la stessa “divisa” di Salvini. Senza mai discostarsi dalle questioni processuali Salvini ha trasformato il suo intervento nell’ennesimo manifesto delle politiche migratorie della Lega. Dal sempreverde “ho difeso la sicurezza e i confini dell’Italia, rifarei tutto a testa alta” al fondamentale (per l’esito del processo) “ogni decisione è stata condivisa con il governo e ha rispecchiato le scelte politiche in materia di immigrazione dell’esecutivo, chiare e definite sin dal giorno del giuramento al Quirinale”.
Si è complimentato con se stesso per i risultati dei suoi due anni scarsi al Viminale. “Con me gli sbarchi sono diminuiti del 90 per cento e non ci sono stati eventi delittuosi (morti in mare, ndr) – ha sottolineato – non come oggi”. Un passaggio che non è sfuggito a chi ha assistito al giorno di Matteo nell’aula bunker intitolata a Falcone e Borsellino: è stata chiara la volontà di distinguere le scelte della Lega in materia di immigrazione da quelle fatte dal governo di Giorgia Meloni.
Con le elezioni europee alle porte l’autodifesa del Salvini imputato ha assunto i toni del comizio elettorale del Salvini a caccia di una rimonta del consenso nel centro destra. “Il mio rifiutare i Pos fino a quando non c’era un accordo con gli altri stati per la ridistribuzione era un modo per fare pressione sull’Europa, che dopo la vicenda Open Arms è diventata più solidale – ha ribadito – In ogni caso mi dissero che la situazione sulla nave dell’Ong era sotto controllo. Se non fosse stato così li avremmo fatti sbarcare subito”.
Sul ritardo nel concedere il porto sicuro l’ex ministro dell’Interno rivendica le scelte politiche del primo governo Conte. Senza accordo sulla redistribuzione non doveva sbarcare nessuno. “Anche perché la nave Open Arms sapeva dal 2 agosto che non avremmo concesso il Pos e per una settimana ha bighellonato in mare. Potevano andare da subito in Spagna visto che una nave è territorio del paese di cui batte bandiera”. Nella prossima udienza, in programma il 16 febbraio, verrà sentito l’attuale ministro dell’Interno Matteo Piantedosi che all’epoca dei fatti era capo di gabinetto di Salvini.