Le parole del premier a Strasburgo: "Bisogna lavorare per una politica estera unitaria e a meccanismi decisionali efficaci"

C’è bisogno di un “federalismo pragmatico, che abbracci tutti gli ambiti colpiti dalle trasformazioni in corso, dall’economia, all’energia, alla sicurezza” e “se ciò richiede l’inizio di un percorso che porterà alla revisione dei Trattati, lo si abbracci con coraggio e con fiducia”. E’ un discorso da statista e da leader nel panorama europeo quello di Mario Draghi alla plenaria del Parlamento europeo. Il premier torna nell’aula di Strasburgo, che lo aveva visto presente a fine gennaio alla commemorazione di David Sassoli, questa volta invitato nell’ambito di una serie di incontri con i capi di governo europei. Cita la festa dell’Europa del 9 maggio Draghi, quando nella cerimonia conclusiva della Conferenza sul futuro dell’Europa, anche da parte del presidente francese, Emmanuel Macron, che presiede il Consiglio Ue, ci potrebbe essere l’annuncio di un’apertura alla modifica dei Trattati. L’Europa deve guardare lontano e lavorare per raggiungere un’autonomia strategica, che nella difesa passa da una maggiore efficienza della spesa militare in Europa”, afferma Draghi, che chiede di “convocare una conferenza per razionalizzare e ottimizzare gli investimenti”. Non solo, di pari passo alla costruzione di una difesa comune, bisogna lavorare per “una politica estera unitaria e a meccanismi decisionali efficaci”.

Sulla ricetta per raggiungere l’efficacia necessaria a trasformare l’Europa in una potenza nel panorama globale in grado di prendere decisioni celeri e incisive Draghi non ha dubbi: “dobbiamo superare il principio dell’unanimità, da cui origina una logica intergovernativa fatta di veti incrociati, e muoverci verso decisioni prese a maggioranza qualificata”. E poi occorre accelerare sul processo di allargamento dell’Ue, soprattutto ai paesi balcanici. Perché “la piena integrazione dei Paesi che manifestano aspirazioni europee non rappresenta una minaccia per la tenuta del progetto europeo ma è parte della sua realizzazione”, spiega il premier in una sorta di monito agli Stati più reticenti all’ingresso di nuovi paesi. “Apertura immediata” dei negoziati di adesione con l’Albania e con la Macedonia del Nord e “nuovo slancio ai negoziati” con Serbia e Montenegro, è quello che chiede Draghi ribadendo il supporto italiano all’ingresso dell’Ucraina dell’Unione europea. Il premier italiano, insomma, ha voluto ritagliarsi un ruolo di guida europea, di forte e convinto sostenitore del progetto di integrazione europea e di riformatore dell’Ue, dopo che nel 2012 da presidente della Bce, come ha ricordato la stessa presidente dell’Eurocamera, Roberta Metsola, ha salvato l’Europa da una crisi che avrebbe messo in discussione l’unione monetaria. L’Ue è riuscita a sopravvivere, e anzi in alcuni casi a rafforzarsi nelle ultime crisi che l’hanno scossa, dopo il Covid, il conflitto in Ucraina è ora la sfida più grande che “pone l’Unione europea davanti a una delle più gravi crisi della sua storia – rimarca il premier -. Una crisi che è insieme umanitaria, securitaria, energetica, economica”. L’Ue deve “sostenere l’Ucraina, il suo governo e il suo popolo, come il presidente Zelensky ha chiesto e continua a chiedere di fare”, sottolinea il capo del governo che lancia un messaggio netto ai pacifisti dell’equidistanza: “in una guerra di aggressione non può esistere alcuna equivalenza tra chi invade e chi resiste” e annuncia che l’Italia “come Paese fondatore dell’Unione europea è pronta a impegnarsi in prima linea per raggiungere una soluzione diplomatica”.

Parole, quelle dell’intero discorso, che hanno riscontrato molti apprezzamenti dell’emiciclo di Strasburgo tra i capigruppo che hanno replicato al suo intervento, tanto che il premier si è detto “sorpreso e commosso”. Entusiasmo tra i 76 europarlamentari italiani che nel breve incontro di saluto non hanno rinunciato a farsi dei dei selfie con l’inquilino di Palazzo Chigi in trasferta.

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