Di Quirinale “se ne parla a gennaio”. Enrico Letta conferma la sua linea del silenzio sulle trattative che dovranno portare all’elezione del prossimo presidente della Repubblica, ma osserva, ascolta e annota tutti i movimenti che si stanno delineando. “In questo momento c’è timore della quarta ondata, il rincaro delle bollette, il Paese sta votando in Parlamento una legge di Bilancio importante per evitare una situazione di difficoltà sociale in tante parti del Paese, c’è una fase di rilancio oggettiva: credo che la politica debba occuparsi di questo”, mette le mani avanti il segretario del Pd. Che non ha fretta, né vuole pressioni in questo momento: “Delle cose che riguardano la politica se ne parla a suo tempo. L’elezione per il Capo dello Stato si fa a gennaio: se ne parla dopo la fine dell’anno“.
Non ne parla, ufficialmente, ma almeno Letta fissa un paletto: “Ascolteremo il discorso del presidente Mattarella il 31 dicembre e quello sarà il momento in cui si comincerà a ragionare di Quirinale. Coloro che parlano prima mi pare un po’ come quei giochi dei criceti nella ruota”. Una linea compatibile con quella di un altro top player di questa partita, Luigi Di Maio, che ribadisce il suo pensiero: “Ci stiamo avvicinando alla scadenza con troppa immaturità. Se continuiamo così a gennaio non avremo più nomi, li abbiamo quasi finiti e stiamo annoiando gli italiani”. Per il ministro degli Esteri “è totalmente sbagliato ragionare sul Colle, come fanno i partiti di destra, in base al fatto che si vada o meno a votare”, perché “l’Italia, nei primi mesi del 2022, non si può permettere una crisi politica”. Restando in ambito pentastellato, anche se da tempo ha lasciato la casabase, Alessandro Di Battista irrompe nel dibattito segnando la sua distanza da Giuseppe Conte sull’ipotesi di vedere Mario Draghi capo dello Stato. Di “stimare” l’ex premier, ma questo “non significa essere d’accordo con lui”.
Nel campo del centrodestra fa ancora discutere la possibile candidatura di Silvio Berlusconi. Al quale arriva un suggerimento da un suo ex ministro, il leghista Roberto Maroni. “Con tutto il bene che gli voglio, ed essendo uno che gliene vuole davvero tanto, gli consiglio di ritirare la sua candidatura per non cadere nella trappola”. L’ex segretario del Carroccio, poi, boccia anche l’eventualità di mandare Draghi al Colle: “Deve restare a fare il premier almeno fino alle elezioni politiche del 2023. La sua salita al Quirinale farebbe perdere troppo tempo tra consultazioni e il resto. Ci costringerebbe a rinunciare all’utilizzo i fondi del Pnrr che poi dovremmo restituire, l’Europa non fa sconti”. Un punto a favore di quanti vorrebbero un Mattarella-bis, con la conferma dell’ex Bce a Palazzo Chigi. E a occhio non sembrano pochi.