Dopo lo strappo di Matteo Salvini e l’astensione dei ministri del Carroccio sul decreto Covid in polemica con la decisione di Mario Draghi di mantenere il coprifuoco alle 22, oggi (anche se la convocazione non c’è ancora) in Consiglio dei ministri approderà il Pnrr. Si tratterà di un primo esame del piano, senza un voto, che invece ci sarà in una nuova riunione del Governo che verrà convocata dopo che il premier presenterà il testo alle Camere, lunedì e martedì prossimi, prima dell’invio definitivo a Bruxelles – entro il 30 aprile, come da procedura Ue. I lavori sono in corso. Draghi riunisce in mattinata a palazzo Chigi i capidelegazione dei partiti e i ministri competenti per un primo confronto su cifre e progetti. I presenti definiscono la riunione “tranquilla”, con la Lega – al tavolo Giancarlo Giorgetti – “di nuovo collaborativa”.”Nessuno strascico” di quanto accaduto il giorno prima, è la rassicurazione.
Le fibrillazioni all’ interno alla maggioranza, però, non mancano. Mentre il premier e i ministri sono nella sala verde di palazzo Chigi a lavorare sul Recovery, Salvini riunisce la segreteria politica del partito. “Siamo entrati in un governo strano ma abbiamo le spalle larghe. Pd e 5Stelle sperano che la Lega esca? Se lo scordino!”, manda a dire il leader del Carroccio, insistendo sul “non senso” della decisione assunta sul coprifuoco. Per il Nazareno il metodo Salvini resta “irricevibile”. “O dentro o fuori”, è la linea, che sa più di avvertimento all’alleato per necessità che di ultimatum all’avversario di sempre. E’ in questo quadro che Enrico Letta rilanciail modello Ciampi, nell’ottica di alzare l’asticella del coinvolgimento: non è solo concertazione ma corresponsabilità, data dall’occasione storica di fare riforme possibili solo con questa maggioranza. “Il Pd non vuole una maggioranza Ursula”, assicurano i Dem ma Salvini deve decidere.
L’Italia è pronta a spendere 221,5 miliardi per “riparare i danni economici e sociali della crisi” e “contribuire ad affrontare le debolezze strutturali dell’economia italiana”, come recita la presentazione preparata dal Mef, che mette in luce gli “ampi e perduranti” divari territoriali, il basso tasso di occupazione femminile, la “debole” crescita della produttività e i ritardi nell’adeguamento delle competenze tecniche, nell’istruzione e nella ricerca. 191,5 miliardi sono quelli inquadrati nel Recovery fund e altri 30 derivano dal fondo complementare. Sei le missioni: per digitalizzazione, innovazione, competitività e cultura, vengono stanziati 42,5 miliardi (il 22% del totale); 57 miliardi (il 30% delle risorse) saranno destinati a rivoluzione verde e transizione ecologica; 25,3 miliardi gli investimenti per infrastrutture e mobilità sostenibile; 31, 9 miliardi (il 17% dei fondi) andranno a istruzione e ricerca; 19,1 per i progetti di inclusione e coesione , mentre 19,72 miliardi (15,6 del Pnrr ai quali vanno aggiunti i 2,39 previsti nel fondo complementare e 1,71 del React Eu) saranno destinati alla sanità.
Per quel che riguarda la governance del Pnrr, la bozza prevede la “responsabilità diretta” di ministeri ed enti locali e territoriali “per la realizzazione degli investimenti e delle riforme entro i tempi concordati e la gestione regolare corretta ed efficace delle risorse”. Al Mef, invece, saranno “incentrate” le pratiche di “monitoraggio, rendicontazione e trasparenza”. Via XX settembre, è la sottolineatura, “monitora e controlla il progresso dell’attuazione di riforme e investimenti e funge da punto di contatto unico per le comunicazioni con la Commissione europea”.
In realtà anche sul Pnrr si registrano alcune scintille. Il M5S cerchia in rosso come “elemento essenziale” per la valutazione del piano la proroga del superbonus al 2023. Secondo i conti fatti dai pentastellati, infatti, gli 8,25 miliardi del Fondo nazionale complementare destinati a ecobonus e sismabonus fino al 110% coprirebbero la proroga solo fino al 2022. Nella risoluzione al Def che la Camera si appresta a votare nelle prossime ore, viene fatto notare, c’è in realtà l’impegno “a prorogare la misura in una prospettiva temporale più ampia fino alla fine del 2023”, ma – è la sottolineatura – “a questo impegno non corrispondono le risorse stanziate in tabella”. Contro la mancata proroga si schiera anche Confindustria: “Sarebbe un gravissimo errore – sentenzia Emanuele Orsini, Vice Presidente di Confindustria per il credito, la finanza e il fisco – perché danneggerebbe il settore delle costruzioni, che è volano dell’economia ed è ad alta intensità di occupazione. La proroga è necessaria, tanto più che il Superbonus è partito in ritardo viste le complessità amministrative”. Chiedono “un chiarimento sulla strategia per la rete unica” e “la garanzia sulla sicurezza per il cloud dei dati pubblici”, invece i dem che insistono anche sulle clausole per l’occupazione delle donne e dei giovani, sul Mezzogiorno, il contrasto del lavoro nero e il potenziamento del progetto per l’autosufficienza.

