L’immobilismo è quello tipico di una guerra fredda. “La situazione non si sblocca, Conte tace”, ripetono i luogotenenti di Italia viva. Il premier vorrebbe un accordo blindato su percorso e nomi senza passare per le dimissioni, Matteo Renzi insiste per un suo passo indietro che, però, assicura un ministro ‘governista’, “non è e non è mai stato sul tavolo”. Il pressing sull’inquilino di palazzo Chigi, affinché consenta la nascita di un Conte ter, comunque, resta forte. E se dalla maggioranza non escludono che Conte alla fine decida di andare alla conta in Parlamento, la ‘minaccia’ di Renzi resta quella di sempre. “Il copione è già scritto”, assicurano i renziani. Se lo stallo andrà avanti fino al Consiglio dei ministri che deve dare l’ok al Recovery Plan, Teresa Bellanova e Elena Bonetti faranno un passo indietro, aprendo quella che dai più è definita una ‘crisi al buio’. Sul piano è al lavoro da giorni Roberto Gualtieri. Il ministro dell’Economia, dopo gli incontri avuti nei giorni scorsi con le forze di maggioranza, sta mettendo a punto un “corposo documento” che rielabora le richieste dei partiti e le “mette a sistema” in un quadro di visione generale, ma la corsa contro il tempo potrebbe risultare vana.
In assenza di ‘strade maestre’ o segnali che arrivino da palazzo Chigi, i ‘piani B’ si rincorrono. Matteo Renzi lascia tramontare l’ipotesi che la ‘fase 2’ della legislatura possa iniziare con un ‘rimpastino’. L’ex premier lo dice chiaro nella sua enews, mandando a Conte quello che definisce un “semplice e garbato” messaggio: “se qualcuno davvero immagina che abbiamo fatto tutto questo baccano per prendere un ministero in più, quel qualcuno deve farsi vedere. Possibilmente da uno bravo. Grazie”, scrive in neretto. A metà pomeriggio, poi, è una nota ‘sibillina’ dell’esecutivo nazionale di ‘Cambiamo!’, partito di Giovanni Toti, a lungo ‘corteggiato’ per mettere in sicurezza il Conte bis. “Se si dovesse aprire un serio dibattito su un esecutivo di salute pubblica che abbia tre priorità fondamentali all’ordine del giorno, Piano vaccinale, utilizzo della linea di credito del MES per la Sanità ed elaborazione del piano di ripresa per l’impiego delle risorse del Recovery Fund, nessuno potrebbe chiamarsi fuori”, si legge. Chi tiene in mano il pallottoliere dei numeri al Senato sobbalza: Gaetano Quagliariello, Paolo Romani e Massimo Berruti – i tre ‘totiani’ che siedono a palazzo Madama – hanno ceduto alle sirene contiane? A chiarire la situazione ci pensa il governatore della Liguria in persona: “Se il Governo Conte ha la forza di andare avanti lo faccia in fretta e buona fortuna. Come Cambiamo! abbiamo già chiarito la nostra totale indisponibilità a dare un sostegno di qualsiasi forma all’attuale maggioranza”, sentenzia. E’ qui, allora, che nel ‘borsino’ della crisi torna a salire l’ipotesi di un Governo di tutti, o quasi. Si racconta di nuovi contatti tra renziani e leghisti, pur non confermati ufficialmente. “Salvini ci sta”, viene riferito. Riecco allora il nome di Mario Draghi tornare in pole per il dopo Conte. “Fantapolitica”, ripetono quelli che non amano troppo “bluff e partite a poker”.
“La verità – ammette sconsolato un ministro – è che siamo sospesi. Nessuna ipotesi è da scartare, nemmeno il voto”. Per ora, quello che sembra potersi escludere è che tutto si risolva con ‘due sostituzioni striminzite a inizio secondo tempo’, magari con uno spostamento di Lorenzo Guerini al Viminale e l’ingresso di Ettore Rosato alla Difesa. Nel totonomi di un tagliando più corposo restano in uscita Paola De Micheli, Paola Pisano e Nunzia Catalfo e in entrata Maria Elena Boschi (in questo caso Teresa Bellanova lascerebbe il ministero dell’Agricoltura), Andrea Orlando, Graziano Delrio. Fa gola, poi, il Mise di Stefano Patuanelli, ma il pentastellato sembra blindato. “Anche il valzer dei nomi è bloccato visto che manca l’accordo”. E se per Luigi Di Maio “questo governo ha la responsabilità di andare avanti” e con il voto “rischieremmo di perdere i fondi del Recovery”, Andrea Orlando la vede diversamente: “In mancanza di una valida alternativa anche un ritorno alle urne non sembra più ‘un’arma scarica’ – ammette – anzi temiamo che alla fine le elezioni siano l’unica soluzione possibile”.