Domenica e lunedì gli italiani chiamati alle urne per Regionali (in sette regioni )e referendum
Ci siamo, ormai manca davvero poco all'apertura delle urne. Dall'esito del voto sul taglio dei parlamentari e le regionali, di domenica e lunedì prossimi, dipende una buona fetta del futuro di questo governo. Con buona pace di chi sostiene che non ci saranno ripercussioni. Il primo a esserne cosciente è Giuseppe Conte, che in questa campagna è rimasto dietro le quinte, forse memore della foto di Assisi, che non portò fortuna al candidato Pd-M5S in Umbria. Il premier ha scelto di rimanere ancorato ai dossier più scottanti, dal Recovery fund alla riapertura delle scuole, anche perché il suo appello all'unità della maggioranza sui territori è finito nel vuoto. Non che abbia fatto nulla per nascondere la delusione per il mancato accordo tra dem e Cinquestelle ma, senza la replica dello schema nazionale, una sua discesa in campo avrebbe imposto di scegliere da quale parte schierarsi.
Una decisione dovrà prenderla, però, sul rimpasto. I tempi sembrano maturi, anche in considerazione del fatto che un tagliando si renderà praticamente inevitabile una volta che le urne saranno chiuse, quando difronte l'esecutivo avrà solo il countdown per la presentazione dei progetti a Bruxelles, per ottenere i 209 miliardi di euro del Recovery fund. Lavoro sul quale dovrà coinvolgere le opposizioni, non solo per una galanteria istituzionale, ma soprattutto perché se le elezioni regionali dovessero andare male all'ala penta-progressista, la maggioranza dei governatori avrebbe indosso la maglia del centrodestra. E saranno Regioni e Comuni i principali attori della partita sui fondi europei. Motivo in più per limare la squadra e inserire, magari, qualche elemento con propensioni al dialogo e gradi abbastanza alti, nelle forze politiche di appartenenza, per sedersi al tavolo con capacità decisionale.
L'importante è non toccare una virgola dello scacchiere attuale. Come conferma Luigi Di Maio, che aspetta l'esito del referendum sul taglio dei parlamentari – battaglia che lo vede in primissima linea – per riprendere quello slancio da leader che gli consentirebbe di riprendere in mano i cinquestelle e, di conseguenza, le redini della maggioranza. Il ministro degli Esteri, infatti, ha scelto Nicola Zingaretti come partner e lo difende dai rumors che lo vogliono fuori dalla segreteria in caso di 'cappotto' alle elezioni, soprattutto se i dem perdessero la Toscana: "Abbiamo tante cose da fare per questo Paese insieme, abbiamo un governo da portare avanti".
La mano tesa all'alleato, però, significa trovare un compromesso sui temi che dividono la coalizione. Un nome a caso? Il Mes. I Cinquestelle continuano a rifiutare l'ipotesi di accedere al Meccanismo europeo di stabilità, anche se nella forma light da 37 miliardi con l'unica condizionalità di utilizzarli per spese sanitarie dirette e indirette. E sebbene Matteo Renzi dica apertamente di credere all'ipotesi che il 'niet' sia più un modo per fare "ammuina", per poi accettarlo una volta che le consultazioni saranno esaurite, dalle parti del M5S fanno capire che non c'è strategia: non si prende e basta. Se ne riparlerà tra qualche giorno, numeri alla mano. Prima bisogna capire chi avrà più ferite da leccarsi.