Conte e la “maledizione” dei Mattei: da Salvini a Renzi un governo sempre in bilico

Matteo Salvini prima, Matteo Renzi adesso. Nelle ultime ore, quelle vissute sul precipizio di una possibile crisi di Governo, Giuseppe Conte ha fatto in più di un'occasione appello al gioco di squadra. "Se un giocatore si ferma, se inizia a pensare a sé, o addirittura a fare dei falli, degli sgambetti, noi la partita non la possiamo vincere", è il suo ragionamento. Volendo allora restare alla metafora calcistica usata dal premier, bisogna riconoscere che sia nell'esperienza gialloverde, che ora con i giallorossi, in campo al fianco del presidente del Consiglio ci sono stati due giocatori di indubbia personalità, attaccanti puri. "Fenomeni della politica" per alcuni, diversi tra loro, ma ugualmente imprevedibili.

Il rapporto di Conte con Salvini inizia in modo quasi formale, sia pur all'insegna della trasparenza. Poi tra i due la confidenza cresce, ma le continue turbolenze tra Carroccio e M5S non aiutano a far decollare il rapporto. È la Tav a far precipitare ogni cosa. I battibecchi tra alleati sono quotidiani e Conte interviene in modo netto, minacciando per la prima volta di rimettere il mandato: "Nessun ministro prevalichi le sfere che gli competono", dice rivolgendo un primo, timido, avvertimento all'allora ministro dell'Interno. Alla fine il sì all'Alta velocità è nei fatti e Conte non può evitarlo. Salvini se ne compiace e, complice anche l'ottimo risultato ottenuto alle Europee, alza la posta. Mette il piede sull'acceleratore sulla Flat tax e chiede la testa di tre ministri, a cominciare da quella di Danilo Toninelli (Trasporti), provando a mettere alle strette il premier. Lo show down arriva il 7 agosto con la presentazione al Senato della mozione M5S contro la Tav, che viene respinta anche con i voti della Lega. Ha inizio, di fatto, quella che passerà alla storia come "la crisi del Papeete". Il segretario del Carroccio chiede al suo presidente del Consiglio di convocare immediatamente il Parlamento "per prendere atto che non c'è più la maggioranza" e "restituire rapidamente la parola agli elettori". Di più. Chiede "pieni poteri, per poter fare quello che abbiamo promesso senza palle al piede".

Per Conte la misura è colma. Il premier alza i toni, pretendendo che la crisi venga portata in Parlamento. Salvini lo accontenta e deposita una mozione di sfiducia nei suoi confronti. Il 20 agosto il capo del Governo è in aula e si esibisce in un durissimo attacco nei confronti del suo vicepremier: Salvini, nelle sue parole, è un "irresponsabile" e un "opportunista". Di più. "Non ha il coraggio delle sue scelte, me lo assumo io", dice segnando il "the end" dell'esperienza gialloverde.  

Il capitolo finale del rapporto tra Conte e Matteo Renzi, invece, non è stato ancora scritto. L'ex premier ha spesso sbeffeggiato "l'avvocato del popolo" mentre era all'opposizione, rivelando per altro sms privati in cui era il professore pugliese ad attestargli la sua stima. Nella fase di nascita del Governo giallorosso, poi, il senatore di Scandicci non ha mai nascosto la sua contrarietà a un Conte 2, essendo però poi costretto a capitolare. La nuova esperienza del premier a Palazzo Chigi inizia con l'uscita di Renzi dal Pd. Il leader di Italia Viva gli telefona poche ore prima di annunciare pubblicamente lo strappo. "Singolare la scelta dei tempi", commenta non certo felice il capo del Governo. Inizia così una partita a poker a distanza. Con il senatore toscano che prova diverse fughe in avanti, a partire dalla legge di Bilancio, e il presidente del Consiglio che para i colpi. Fino alla grana prescrizione. L'azzardo più forte, anche in questo caso, è la minaccia di una mozione di sfiducia tra alleati, questa volta a firma Iv nei confronti del Guardasigilli Alfonso Bonafede. Conte rispolvera il lessico duro già utilizzato con l'altro Matteo: Renzi "fa opposizione maleducata", "pensa al suo destino" e "qui ha pari dignità anche con suo 3%", attacca. Il leader di Italia Viva lo ha sempre ritenuto politicamente inferiore e continua la sua partita rilancio dopo rilancio, pronto anche all'all-in. Non è tipo da "che fai mi cacci" di finiana memoria. Piuttosto provoca sui social: "Se vuole ci cacci". Il duello è ancora in corso. "Non abbiamo bisogno di fenomeni", aveva avvertito Conte già qualche mese fa. "Alleati, non sudditi", replica ancora adesso Renzi. E in attesa di capire chi dei due sia il Matteo "sbagliato", Conte è ancora alla ricerca di quello "giusto".