Il premier Conte riceve il generale provocando l'irritazione del premier libico
Il tentativo di mediazione è audace. Fin troppo, tanto che non va in porto. Palazzo Chigi sarebbe potuto diventare crocevia del destino della Libia. Ma, nel giro di poche ore, sfuma il progetto di far convergere a Roma, uno dopo l'altro, i due leader chiave del Paese nordafricano. Arriva nella Capitale il generale Khalifa Haftar, uomo forte della Cirenaica, che nei giorni scorsi ha conquistato Sirte e ora punta ad allargare il proprio dominio. Non si fa vedere, invece, Fayez al-Serraj, a capo di un fragile governo con sede a Tripoli, sostenuto dalla comunità internazionale.
Al-Serraj, che vive sotto la costante minaccia di Haftar, pronto a conquistare l'intero Paese, non ha apprezzato la mossa italiana. E pensare che Palazzo Chigi poteva ospitare un vero colpo da maestro, almeno a livello diplomatico: far parlare le due parti, ricevendole separatamente in territorio neutrale, e permettendo a Conte di rappresentare le ragioni dell'uno e dell'altro leader. Al-Serraj, però, si limita ad andare a Bruxelles, per incontrare l'Alto rappresentante della politica estera Josep Borrell e il presidente del Parlamento europeo David Sassoli.
E il ministro dell'Interno di al-Serraj, Fathi Bashagha, smentisce con forza anche solo l'idea di un incontro romano. "Questa è solo propaganda che arriva da alcune parti in Italia, ed è finanziata dagli Emirati arabi uniti", dice alla televisione libica Alahrar. Durissimo anche l'ambasciatore di Tripoli a Bruxelles, Hafid Qaddour, secondo cui "non ci sarà alcun dialogo o incontro con il criminale Khalifa Haftar".
Non ha più fortuna la missione, parallela a quella di Conte, portata avanti dal ministro degli Esteri Luigi Di Maio, al Cairo per una riunione con Francia, Egitto, Cipro e Grecia. Il responsabile della Farnesina, a sentire il suo staff, si batte per "smussare la dura posizione degli altri Paesi nei confronti di turchi e Serraj", pronti ad un duro confronto militare contro Haftar. Roma, che chiedeva un documento più morbido forse proprio per non sembrare troppo schierata al fianco del generale, non viene ascoltata.
L'Italia, quindi, decide di non firmare la dichiarazione conclusiva della riunione egiziana, considerandola troppo sbilanciata. Di Maio spiega che "non dobbiamo spaccare l'Unione europea", che potrà tentare di parlare con una voce sola al Consiglio dei ministri Ue di venerdì. L'auspicio è che si possa portare avanti il cosiddetto processo di Berlino, che punta ad organizzare una conferenza di pacificazione della Libia. Ma, come ammette lo stesso Di Maio, "non serve solo una conferenza ma anche -e soprattutto. un risultato concreto". Risultato che, al momento, resta ancora un miraggio lontano.