Il premier in conferenza stampa dopo l'audizione al Copasir chiarisce: "Mai interloquito con Barr"

Due ore e mezza davanti al Copasir, poi – in modo del tutto inusuale – in conferenza stampa a palazzo Chigi. Per chiudere il caso Russiagate, dopo averlo fatto con i commissari, anche "di fronte ai cittadini" e marcare nettamente la differenza rispetto a Matteo Salvini, che "continua a pontificare" ma invece su Moscopoli "non avverte la responsabilità" di fare chiarezza mancando così "di sensibilità istituzionale".

Il premier, invece, spiega. "Mai" parlato con il procuratore generale Usa William Barr "né per telefono, né per iscritto". "Mai" parlato dell'inchiesta con il presidente americano Donald Trump. William Barr, ricostruisce Conte, ha fatto pervenire "attraverso canali ordinati e diplomatici" la richiesta, "che risale a giugno 2019, di verificare l'operato dell'intelligence americana". Le informazioni volute, chiarisce, riguardavano il periodo della primavera-estate 2016. L’interesse Usa si concentrava poi su Joseph Mifsud, professore maltese alla Link Campus University. Il presidente del Consiglio conferma sì i due incontri con la delegazione Usa: il primo il 15 agosto, che ha visto di fronte Barr, (in Italia per motivi personali"), e il direttore del Dis Gennaro Vecchione, "ma non si è svolto in un bar. Si è svolto nella sede di piazza Dante del Dis, la sede più istituzionale e trasparente possibile", sottolinea. Nel secondo incontro, quello del 27 settembre, "nella sede del comparto dell'intelligence con anche i direttori dell'Asi e dell'Aise, è stato chiarito che alla luce delle verifiche fatte la nostra intelligence è estranea in questa vicenda. Abbiamo rassicurato gli interlocutori Usa su questa estraneità e ci è stata riconosciuta. Non hanno elemento di segno contrario. È stata acclarata l'estraneità della nostra intelligence".

Conte rivendica quindi di aver agito "con correttezza e nel rispetto delle regole". Nessun illecito anche per la mancata comunicazione ai ministri o al Copasir sull'accaduto: "Il premier ai sensi della legge ha l'alta direzione e responsabilità politica dell'intelligence; non la divide con nessun ministro o leader politico. Se avessi informato persone non legittimate a ricevere queste notizie avrei violato la legge – si difende – E il Copasir ha diritto e dovere di verificare e controllare, ma a posteriori".

Ombre chiarite, quindi. Ed essendo "quasi costretto" a farlo nonostante le dichiarazioni rese al Copasir siano coperte dal segreto. "È chiaro che ho il dovere anche di fronte ai cittadini di riferire alcuni elementi di questa vicenda" che ha suscitato "un tale clamore mediatico", fatto anche di "una messe consistente di ricostruzioni fantasiose che rischiano di gettare ombre anche sul nostro operato istituzionale e questo non possiamo permettercelo". Il paragone è nell'aria ma è Conte stesso che lo esplicita, rispondendo ai cronisti: gli sviluppi del caso Moscopoli? "Non è mia abitudine attaccare gli avversari possibili, ma mi trovo sorpreso dal fatto che Salvini pontifichi sulla questione Barr e mi ha invitato a chiarire, in modo legittimo, e lui, non avverta la responsabilità istituzionale di fare altrettanto". Il braccio di ferro è ingaggiato. Conte "è fra il nervoso e il disperato perché ha promesso mari e monti e gli italiani e hanno capito che è stato un bluff", replica Salvini, mentre fonti del Carroccio fanno notare come il premier "sia sempre più confuso, tira in ballo Mattarella, gli americani e i servizi segreti, ogni giorno insulta Salvini, ma intanto presenta una manovra economica fondata su tasse, tagli, burocrazia e manette". Si dice soddisfatto della relazione di Conte, invece, Nicola Zingaretti. Più cauto Matteo Renzi, del resto, nella primavera-estate del 2016, era lui l'inquilino di palazzo Chigi.

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