Luigi Di Maio non accetta veti sul nome di Giuseppe Conte. Il leader dem non cede, ma deve vedersela anche con i suoi
Pier Luigi Castagnetti, che di crisi di Governo ne ha viste tante, tira in ballo addirittura quella che definisce "la lezione di Berlinguer". Nel 1976, ricorda su Twitter, il leader Pci accettò Andreotti anche se avrebbe preferito Moro, "perché riteneva che sono i programmi, e non le persone, il terreno e lo strumento della discontinuità". Il riferimento è chiaro. Nicola Zingaretti, novello Berlinguer – pur continuando a cercare terze vie e nomi terzi – si trova di fronte a un bivio. Luigi Di Maio non accetta veti sul nome di Giuseppe Conte. Il leader dem non cede, ma – non bastassero gli ultimatum pentastellati – deve resistere anche al pressing interno dei renziani.
Zingaretti, in ogni caso, continua la partita a scacchi a distanza con Di Maio. Sulla rete si ricorrono i tweet dei dirigenti, le fonti anonime che spingono nell'uno o nell'altro verso. "Faccio un appello ai parlamentari del Pd a non twittare testi che parlano di fonti Pd che non si sa mai chi sono: il momento è delicato ed è importante che si parli con i fatti, io le fonti neanche le commento", dice Zingaretti, citando indirettamente l'appello fatto (su Twitter, neanche a dirlo) da Dario Franceschini. "Al Mundial dell'82 il silenzio stampa portó fortuna. E’ tutto molto delicato e difficile e per questo faccio una proposta a tutti i compagni di squadra del Pd – scrive l'ex ministro della Cultura – fino alla fine della crisi parla solo Nicola Zingaretti per tutti, come allora fecero gli azzurri con Zoff".