Previste dall'art.116 della Costituzione, sono arrivate allo stadio di bozze d'intesa tra lo Stato e le tre regioni interessate (Lombardia, Veneto, Emilia Romagna), ma qui le cose si complicano e si rischi di creare livelli di servizi e di tassazione troppo diversi tra una regione el'altra
E' una partita complessa, piena di soldi (21 miliardi), di aspettative e di implicazioni politiche, economiche, istituzionali e, ovviamente, costituzionali. E' la partita delle "autonomie differenziate", aperta almeno dieci anni fa dalle istanze lombardo-venete, proseguita con i referendum "bulgari" dell'ottobre 2017 e che, adesso, deflagra sui tavoli del governo e nelle aule del Parlamento. In parole povere, significa che tre regioni (Lombardia, Veneto e Emilia Romagna) a partire dal dettato dell'articolo 116 della Costituzione hanno aperto la trattativa con lo Stato per ottenere forme di autonomia su una serie di materie (23 in tutto) che vanno dalla sanità alla scuola, dall'ambiente alle infrastrutture, dalla giustizia di pace ai beni culturali. L'articolo 116, infatti, una volta definite le regioni (Trentino Alto Adige, Sicilia, Sardegna, Valle d'Aosta ecc.) a statuto speciale, aprì la porta a successive fasi e a "ulteriori forme di autonomia" e recita:che "possono essere attribuite ad altre Regioni, con legge dello Stato, su iniziativa della Regione interessata, sentiti gli enti locali, nel rispetto dei princìpi di cui all'articolo 119. La legge è approvata dalle Camere a maggioranza assoluta dei componenti, sulla base di intesa fra lo Stato e la Regione interessata".
Vai all'intervista con il costituzionalista Stefano Ceccanti
E' appunto il livello a cui siamo arrivati. Le Regioni interessate, negli ultimi due anni, hanno trattato con il governo centrale e, adesso, il risultato (bozze di intesa) è arrivato all'esame dell'esecutivo. Matteo Salvini, (il tema è molto caro alla Lega) probabilmente, sperava di sbrigarsela con una rapida approvazione e un iter parlamentare magari lungo ma senza tanti intoppi. Invece, sull'autonomia "differenziata" si è aperto uno scontro politico abbastanza acceso con il M5S che ha obiettato con forza almeno su due questioni: 1) queste forme di autonomia si portano dietro anche aspetti economici e redistributivi che rischiano di portare a regioni (e, quindi a cittadini) di serie A e di serie B; 2) ha senso che le intese con le regioni interessate vengano approvate in Parlamento con maggioranze qualificate ma affrontandole alla stregua di trattati internazionali e, quindi, bocciabili ma immodificabili? Entrambe le questioni (e anche altre) sono state riprese con forza dalle opposizioni. Adesso, la situazione è di stallo e non sarà facile sbloccarla.
La ministra leghista per gli Affari regionali, Erika Stefani, in una lettera al direttore di Repubblica ha spiegato che il trasferimento delle risorse finanziarie al "costo storico" metterà al sicuro ad ingiustizie e lo Stato "continuerà a spendere le stesse risorse". Quello che accadrà, sempre secondo Stefani è che il costo storico di un servizio "verrà trasformato in termini di compartecipazione del gettito di uno o più tributi". Ma gli esperti fanno notare che Veneto, Lombardia e Emilia non si sbatterebbero tanto per ottenere autonomia se non pensassero, alla fine del percorso, di arrivare a gestire una sorta di "residuo fiscale". Tanto per fare un esempio, una regione come la Lombardia, a partire dal suo elevatissimo gettito fiscale, potrebbe pagarsi alti standard di servizi socio sanitari ma riuscire anche a risparmiare qualcosa grazie alla propria capacità gestionale in autonomia. A quel punto potrebbe pensare di utilizzare il surplus in due possibili modalità: aumentare gli standard qualitativi dei servizi o diminuire le tasse. Ma questo, appunto, ricadrebbe nel concetto di "regioni di serie A e di serie B" e si avvicinerebbe a un'idea secessionista.
Ma c'è anche una questione immediata relativa alla gestione di importanti cifre che passerebbero dallo Stato alle regioni. Solo per riguarda la Lombardia, una elaborazione Eupolis-Bocconi porta a una somma pari a 10 miliardi di euro (oltre mezzo punto di Pil) che passerebbe di mano. Ecco qualche cifra andando per raggruppamenti di materie: giustizia di pace (22 milioni), istruzione (6,2 miliardi), ambiente e beni culturali (358 milioni), ricerca scientifica e tecnologica (421 milioni), tutela della salute (110 milioni), ordinamento sportivo (17 milioni), protezione civile (162 milioni), governo del territorio (366 milioni), infrastrutture e trasporti (2,183 miliardi), comunicazioni (434 milioni). Cifre grandi e piccole che vanno ad aggiungersi alle altre grandi competenze regionali come la Sanità e che, inevitabilmente, creano conflitti tra governo centrale e autonomia. Ma questi, appunto, dovrebbero essere superabili nella logica costituzionale delle autonomia differenziate. Più complicato affrontarli se diventano anticamera della secessione o terreno di nascita e sviluppo di diversi diritti, tassazione e livelli di servizi tra cittadini dello stesso Stato italiano.