Gregorio De Falco, Paola Nugnes e Elena Fattori non sono certo i primi 'dissidenti' nella storia della Repubblica

Da Rossi e Turigliatto che votano contro la politica estera di Massimo D’Alema e vengono allontanati da Rifondazione comunista, ai ministri (di sinistra) in piazza contro il Governo Prodi nel 2007 in disaccordo con il provvedimento sul welfare; dal poco fortunato ‘Che fai mi cacci?’ rivolto da Gianfranco Fini a Silvio Berlusconi, poi tradito anche dal ‘delfino’ Alfano, alla (variegata) minoranza Pd che, per dirla con Renzi, negli anni si è dilettata a ‘tagliare il ramo sul quale era seduta”.

Gregorio De Falco, Paola Nugnes e Elena Fattori, insomma, non sono certo i primi ‘dissidenti’ nella storia della Repubblica. E così dal ‘prode Turigliatto’ che si giustificava dicendo che “sulla guerra, sul precariato, sulle pensioni proponevano progetti di destra”, ammettendo di “soffrire” mentre Prodi “diceva di portare pazienza, prometteva, ma poi non succedeva mai niente”, è facile arrivare al ‘prode’ De Falco. Il comandante, diventato famoso per l’urlo civile rivolto al collega Schettino (‘sali a bordo, ca…’) ora è costretto a difendersi, accusato – proprio lui – di aver abbandonato la nave grillina: “Io sono coerente, non dissidente”, ripete in queste ore. Così come Elena Fattori, che denuncia il clima da “terrorismo psicologico” presente all’interno del movimento. Come ‘categoria’, comunque, quella dei ‘malpancisti’ non rientra certo tra i portafortuna della politica.

Che si guardi il destino di chi ‘rompe’ o di quelli che restano, infatti, la rottura spesso e volentieri non è preludio di carriere politiche che esplodono, anzi. “Non portano bene al partito nel quale si trovano e con il quale sono in dissidenza in quel momento, non portano bene a se stessi: è sempre stato così”, ammette Clemente Mastella, che contro i ministri dissidenti di Prodi nel 2007 minacciò di togliere la fiducia al Governo. “La vita del dissidente è molto difficile, perché poi – al momento delle elezioni – diventa molto difficile trovare una collocazione”, riconosce pure Gaetano Quagliariello, eletto in Senato tra le fila di Forza Italia da quattro legislature, pur avendo aderito – per un breve tratto – al percorso alfaniano. Di tutt’altro avviso, Federico Pizzarotti, prima grande voce fuori dal coro del Movimento, che non si pente di quanto fatto. “Quando si servono le istituzioni non esistono partiti, ma solo il bene dei cittadini” dice, forte del secondo mandato da primo cittadino conquistato da ‘indipendente’.

Secondo i più, comunque, non sarà facile andare avanti per dissidenti di oggi. “Esprimono un tratto identitario che da quando il M5S è diventato partito di governo si è illanguidito, diluito e magari man mano si perde per strada – spiega Mastella – Bisogna vedere quanti sono dalla loro parte. Se tanti sono dalla loro parte e non si sono espressi per ragioni legate alla disciplina di partito, allora i due che – con coraggio – sono usciti allo scoperto, li terranno dentro, li reintegreranno… altrimenti”. “Certo, come fossero organizzati i grillini, De Falco e compagni lo sapevano bene… non è una novità dell’ultima ora – sottolinea Quagliariello – forse avrebbero fatto bene a pensarci al momento della candidatura. L’adesione a un partito è un fatto empirico e approssimativo. Nessuno aderisce completamente a un partito, però crea un’affiliazione la pretesa di De Falco di stare in un partito e di non starci è una cosa che non si è mai vista. Poi uno, un certo punto, può anche dire ‘io non me la sento più, non accetto più l’affiliazione’ e a quel punto ne devi prendere le conseguenze e ne devi accettare i rischi”. E in un certo senso è quello che lo invita a fare Pizzarotti: “Da quando è entrato in Parlamento nel 2013 all’interno del Movimento non è cambiato nulla: pretendono la libertà di stampa ma non conoscono la libertà d’opinione”. “È una caccia alle streghe che finisce sempre con delle epurazioni – attacca -. Il senatore De Falco, che rispetto e invito a Parma qualora lo ritenesse, dovrebbe uscire dal Movimento prima che lo caccino loro, come ho fatto io. Faccia il passo”.

Mastella, comunque, non vede nessuna grande scissione in vista. E nemmeno crede troppo alla possibile sfida di Fico a Di Maio: “Uno è di Napoli, uno è di Pomigliano. Si giocano degli spazi politici, uno dicendo una parola e l’altro facendo da contrappunto in maniera molto levigata e tenuta, altrimenti non si capisce perché uno faccia il vicepresidente del Consiglio e l’altro il presidente della Camera. È ovvio che Fico tenta di avere una sua leadership… come nelle vecchie correnti democristiane, una corrente che non rompe. Poi anche nella Dc c’era l’alternanza delle correnti: una volta c’era al Governo un Doroteo come Di Maio e un’altra volta ci poteva essere quello più di sinistra come Fico”. Benvenuto ‘governo del cambiamento’, insomma.
 

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