L’ANALISI Quando la ‘riservata’ Torino decide di fare la rivoluzione

Silenziosa, in pieno stile 'sabaudo', ma efficace

Torino sa fare la rivoluzione. In modo 'sabaudo', con il mood riservato di sempre, quasi silenzioso. Ma efficace. Quasi rassegnata alla sua missione di 'apripista', quella che fu la prima capitale di un'Italia unita sembra all'apparenza avvolta anche nell'animo da quella nebbia che nell'immaginario comune accompagna da sempre la descrizione della città. Salvo poi, improvvisamente, quasi dal nulla, risvegliarsi dal suo torpore e dare vita a eventi destinati a segnare una svolta epocale nel Paese. Perché, quando Torino decide, quella che sa realizzare è davvero una 'rivoluzione'.

All'origine di tutto ci fu quella famosa, e tanto rievocata, 'marcia dei 40mila'. Accadde in un autunno di quasi 40 anni fa, il 14 ottobre 1980, in una di quelle giornate torinesi di freddo quasi invernale e di cielo 'bianco': dopo 35 giorni di sciopero e blocchi, un corteo di quadri e impiegati Fiat, i '40mila', scesero in piazza, chiudendo la più drammatica vertenza della storia d'Italia. Quel 'corteo silenzioso' che attraversò Torino segnò la svolta nelle relazioni sindacali: prima, c'erano quei 14 mila 449 licenziamenti poi trasformati in cassa integrazione a zero ore per oltre 22mila lavoratori, una Fiat bloccata dai picchetti, una Torino su cui pesava l'ombra del terrorismo. Dopo la marcia, i sindacati furono costretti a sedersi al tavolo con l'azienda.

E fu una Torino in piena Tangentopoli quella che alle elezioni del 1993 scelse come nuovo sindaco un docente del Politecnico, Valentino Castellani, che nel nome di un'Alleanza per Torino, seppe uscire dai perimetri di simboli, partiti e ideologie. Sconfitto un nome 'storico' della sinistra torinese, un simbolo come Diego Novelli, nel suo secondo mandato Castellani riuscirà a vincere la sfida olimpica, e a portare sotto la Mole i XX Giochi invernali. Da quel 2006 le sorti di Torino cambiarono drasticamente, togliendosi la veste della città industriale e aprendosi al turismo, al terziario e alle sfide culturali.

E non si tratta solo di una rivolta borghese, ma più di un 'patto di salute pubblica' tra categorie produttive, sindacati, associazionismo di tutti i colori la manifestazione che ha invaso le strade di Torino per il 'sì' al Tav. Dalla folla, di un sabato dal cielo bianco di novembre, è arrivato un grande 'no' alla politica della decrescita felice sbandierata dai 5 stelle a favore, invece, di una 'crescita' felice della città, di un ritorno ai grandi-eventi, alle grandi-opere.  Una spinta propulsiva nuova che segna la fine di due anni di luna di miele della cittadinanza con l'amministrazione Appendino: da domani la sindaca sarà costretta ad ascoltare il coro della Torino dei 'sì' .