Mal di pancia tra i pentastellati ortodossi per il 'condono' portato a casa da Salvini. Ma le truppe sono già pronte ad affilare i coltelli
Quello sulla pace fiscale non è stato il migliore dei compromessi per il M5S. Stavolta Di Maio ha abbassato un po' troppo la guardia con il 'socio' Matteo Salvini, che porta a casa più di quanto inizialmente gli era stato prospettato. Non vuole sentir parlare di 'condono' il capo politico pentastellato, ma la misura passata lunedì scorso in Consiglio dei ministri ci assomiglia parecchio. Motivo per cui a qualche parlamentare è scoppiato il mal di pancia. Per la verità, a molti. Soprattutto tra i 'veterani' del gruppo.
Il ministro dello Sviluppo economico, però, ostenta tranquillità in pubblico e davanti ai microfoni. Si dice "soddisfatto" perché "come abbiamo detto in tutti questi mesi doveva finire l'epoca degli scudi fiscali, le voluntary disclosure e tutte quelle parole che servivano a portare capitali dall'estero in Italia e scontarli al 10 o 15%" o peggio ancora "a riciclare dei capitali occulti che venivano da organizzazioni mafiose o corruzione". Ma non è quello il vero punto in questione. Ciò che ha dato estremamente fastidio all'ala ortodossa del Movimento è il regime troppo agevolato per chi finora non è stato in regola con gli adempimenti fiscali. La paura è che possa essere percepito come uno 'schiaffo' a chi ha sempre pagato tutto, nei tempi stabiliti e senza mai sgarrare. I lavoratori dipendenti, ad esempio.
Ecco perché Di Maio si affretta a chiarire che con le norme appena varate "non si introducono nuovi istituti" e che "lo stralcio per tutte le cartelle esattoriali sotto o entro i mille euro, non è un condono tombale". Piuttosto il vicepremier punta a valorizzare la misura della cosiddetta "rottamazione ter" che nei suoi piani "aiuterà molte imprese, molti commercianti e persone in difficoltà". Anche se a suo modo di vedere – ma sembra più una speranza – "aderiranno in pochissimi, ed è bene così, vorrà dire che avremo aiutato solo le persone in difficoltà".
In Parlamento, però, le truppe pentastellate già affilano i coltelli per disossare la portata di punta della Lega alle prossime elezioni europee. Lasciare che Salvini porti al suo elettorato la testa delle cartelle esattoriali, più la flat tax per le partite Iva, sarebbe un mezzo harakiri per il M5S. Dunque i Cinquestelle ci proveranno, magari durante qualche seduta notturna di commissione, quando le energie fisiologicamente si riducono, a infilare nella manovra un emendamento o una proposta di riformulazione che riporti il pacchetto fisco agli accordi iniziali: nessuno sconto, al massimo condizioni agevolate e tempi dilazionati per chi dimostra di non aver potuto materialmente tenersi in regola, purché restituisca fino all'ultimo centesimo il dovuto. O almeno questo sembra essere il piano, perché prima va buttato giù il muro che sicuramente erigerà la Lega. E non è detto che alla fine il prezzo del compromesso non sarà la seconda fiducia di legislatura del governo giallo-verde.