Se Mattarella prova a cucire e Di Maio ‘strappa’ il centrodestra

Il leader M5s si è candidato per una sorta di pre-incarico, aprendo a una nuova fase delle consultazioni, parlando di contratto con gli alleati

Per adesso non ci siamo, ma era ampiamente prevedibile. Le distanze sono consistenti, le preclusioni ancora nette, la diffidenza abbastanza spessa: il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, ne ha preso atto e ha rimandato tutto alla prossima settimana, previa riflessione collettiva. L'unica, forse, che è disposto a concedere e a concedersi. Ma, se vogliamo, una svol(tin)a c'è stata, attraverso le parole nette di Luigi Di Maio.

Il capo del primo partito italiano si è sostanzialmente candidato per una sorta di pre-incarico, aprendo a una nuova fase delle consultazioni, parlando di contratto (con gli alleati) ma non di alleanza, anestetizzando qualsiasi veto, soprattutto circoscrivendo il dialogo a destra con un solo interlocutore, la Lega, e quindi non riconoscendo la coalizione di centrodestra, tirando infine per la giacca il Partito democratico nella "sua interezza" perché – ha sottolineato – non gli è mai passato per la testa di spaccare il/un nemico.

Di Maio ha evidenziato la volontà di aprire un confronto e ha sottolineato di farlo "sinceramente", quasi a voler scongiurare il rischio che qualcuno possa ipotizzare un bluff. La verità è che, scegliendo i suoi interlocutori, cioè Matteo Salvini e il Pd del reggente Maurizio Martina, si è posto in uno status di superiorità: psicologica e numerica, cioè in termini di puri consensi. Insomma, l'ha pensata bene, malgrado non sia semplice ammorbidire il numero uno del Carroccio e trovare una convergenza programmatica con i dem. I quali hanno ribadito di voler stare all'opposizione, anche se devono per prima cosa fare pace con se stessi e con le proprie divergenze interne.

Matteo Renzi gioca a tennis e ha messo il broncio, invece stavolta dovrebbe esprimersi; mentre gli altri non danno la sensazione di possedere l'appeal dei trascinatori e, comunque, tra di loro discutono e discutono e discutono. Troppo, in effetti. E' la ragione per la quale Di Maio ha parlato di "sua interezza": a livello di seggi gli serve tutto il Pd, non una parte, ancorché maggioritaria. Ed è pure la ragione per la quale il leader del M5S preferisce la Lega come interlocutore, perchè – va citato Beppe Grillo – di Salvini ci si può fidare, se dice una cosa poi la fa.

La fase del dialogo-bis deve portare a qualcosa di concreto ma, qualora non accadesse, difficilmente si andrà a sbattere in nuove elezioni con il vecchio Rosatellum: l'orizzonte di giugno non è verosimile e viene osteggiato dal Colle. Semmai sarà proprio Mattarella a prendere in mano la situazione, sfruttando gli strumenti che gli garantisce la Costituzione. L'extrema ratio che nessuno, persino gli aventiniani del Pd, sono disposti ad accettare.