Salvini e Di Maio, i leader populisti scelgono il profilo istituzionale

Stop ai toni eccessivi, volume della voce moderato e, soprattutto, non tirano per la giacchetta il Capo dello Stato

Ora che l'ombra di palazzo Chigi si avvicina, Matteo Salvini e Luigi Di Maio, gli unici leader usciti vincenti da questa tornata elettorale, scelgono il profilo istituzionale. Nei loro discorsi post voto, i capi politici di Lega e M5S si assomigliano molto: entrambi fanno attenzione a non scivolare in toni eccessivi, moderano il volume della voce e, soprattutto, non tirano per la giacchetta il Capo dello Stato. Hanno ben chiaro che per tranquillizzare l'Europa e non allontanare la strada verso il Colle, occorre mostrare il volto moderato del populismo.

Dalle urne del 4 marzo sono loro a uscire come i veri vincitori, ciascuno anche nelle proprie sfide personali. Quella Di Maio, in grado di soffiare un terzo degli elettori al Pd rispetto al referendum del 4 dicembre (come dimostrano i flussi di Swg e Istituto Cattaneo). E quella ancora più complicata di Salvini: superare Forza Italia nella coalizione.

Raggiunto l'obiettivo minimo, adesso si cambia registro: l'aspirazione di essere chiamati al Quirinale rende più morbidi i toni dopo le urne. Salvini rivendica il podio, ma all'interno della coalizione, non nella competizione elettorale con gli altri partiti e, anzi, riconosce il merito ai Cinquestelle. Non parla della presidenza del Consiglio e allo stesso tempo rifiuta ipotesi di governo di scopo. "Sarà il presidente della Repubblica a scegliere il presidente del Consiglio", dice.

Prende tempo anche sui nomi dei presidenti di Camera e Senato: "Non abbiamo neanche lontanamente cominciato a ragionare a livello di istituzioni", butta acqua sul fuoco. Il leader delle camicie verdi, ecumenico, sottolinea: "Da premier incontrerò tutti, ascolterò tutti, quindi anche la Boldrini, pur essendo due universi lontanissimi". Salvini riconosce che quella della Lega è una "vittoria straordinaria", di cui gli è "chiara la responsabilità". Per questo garantisce il suo impegno a seggi chiusi per fare sì che la squadra che è "più vicina a essere maggioranza arrivi a esserlo". Un Salvini ben disposto dunque verso i suoi alleati naturali. Non con il M5S, tuttavia. Almeno, per ora.

Abbandonato il 'Vaffa', da canto suo, Di Maio mostra il 'lato di governo' del Movimento 5 Stelle. A cominciare dalle parole riservate al capo dello Stato che "saprà guidare questo momento con autorevolezza e sensibilità come ha sempre fatto". Sembra un'era fa quando i Cinquestelle riservavano epiteti poco lusinghieri a Giorgio Napolitano. Stessa disponibilità, poi, nei confronti degli altri partiti. "Siamo aperti al confronto con tutte le forze politiche a partire dall'individuazione delle figure di garanzia che dovranno guidare le due Camere e soprattutto per i temi che dovranno riguardare la legislatura", assicura in conferenza stampa.

Esattamente come Salvini, poi, Di Maio "sente la responsabilità di dare un governo" al Paese. Il capo politico pentastellato, tuttavia, sembra più nel suo rispetto a Salvini: teso, sì, ma calato perfettamente nel ruolo istituzionale cui si è abituato per 5 anni, vestendo i panni del vicepresidente della Camera. Salvini invece pare trattenersi, pronto a esplodere in uno dei suoi slogan urlati.

Di Maio contro Salvini, il capo politico contro il segretario, l'ex vice presidente della Camera contro l'europarlamentare. I più accreditati a contendersi l'incarico del presidente della Repubblica Sergio Mattarella sono loro: il partito più votato contro il partito che guida la coalizione con più voti. Per paradosso, se da nemici diventassero amici, insieme formerebbero una maggioranza solida, non solo numerica ma forse anche di contenuti.