"C'è la Francia che può agire come perno di coordinamento, approfittiamone". Intervistato da Lucia Annunziata a 'In mezz'ora', Romano Prodi lancia la sua proposta: quella di una "comune difesa europea", già anticipata dal professore in un'intervista pubblicata oggi dal Messaggero. Parlando nel talk show di Rai3, l'ex presidente del consiglio sottolinea come un progetto di questo tipo potrebbe essere "possibilissimo", soprattutto se alle prossime presidenziali a spuntarla sarà Emmanuel Macron, "il primo candidato della storia della Francia a presentarsi con un programma fortemente e deliberatamente pro-europeo".
La Francia, ragiona Prodi, rimane l'unico Paese europeo – con il Regno Unito in uscita dal blocco – ad avere diritto di veto nel Consiglio di sicurezza dell'Onu, nonché l'unico a possedere armi nucleari. In più, Parigi avrebbe l'interesse a "recuperare una sua voce in Europa insieme agli altri alleati". Tutti elementi che ne farebbero il capofila ideale per un progetto di difesa comune, necessario dal momento che "con la nostra disunione in Europa abbiamo appaltato ad altri la nostra sicurezza". Secondo il professore – che vede possibili anche passi avanti nei campi della ricerca e dell'energia -, un percorso di questo tipo non comporterebbe inoltre maggiori spese militari. "Non ho detto di spendere di più: nella prima fase, di qualche anno, si conquista una grande efficienza semplicemente con il coordinamento", sottolinea.
Nell'intervista con la giornalista Rai, Prodi illustra anche le sue valutazioni in merito alle mosse di politica estera compiute in questa prima fase del suo mandato dal presidente statunitense Donald Trump. A partire dallo scacchiere asiatico. "Da quello che ho visto nei primi tre mesi di Trump, penso che non faranno nulla in Asia di militarmente significativo senza che ci sia per lo meno un tacito assenso della Cina", spiega l'economista nel giorno in cui gli Usa hanno ordinato la mobilitazione di una portaerei nelle acque davanti alla Corea del Nord. Pur rilevando come "i cinesi non dimenticheranno presto" il fatto che l'attacco contro la Siria dei giorni scorsi non sia stato, a quanto pare, anticipato al presidente Xi Jinping, che proprio in quelle ore era a colloquio con Trump.
Analizzando l'operazione, Prodi parla comunque di un "capolavoro tattico" del presidente statunitense, eseguito in un momento di difficoltà sul fronte interno. Ma avverte che "strategicamente, cioè nel lungo periodo, diventa abbastanza un problema". Resta da risolvere, infatti, il nodo dell'equilibrio nel Paese, che dovrà per forza passare da "un accordo tra America e Russia". Le opzioni, rileva Prodi, sono diverse: "Si può andare da Assad condizionato a un compromesso tra le varie forze che si combattono". A non poter essere sottovalutata, ad ogni modo, è la complessità della struttura del potere siriano, che comprende "servizi segreti, polizia ed esercito".