Il 'd-day', il giorno che tutti attendono per capire le sorti del Pd, prima fissato a lunedì scorso con la direzione, adesso è in calendario per domenica. Matteo Renzi si presenterà dimissionario di fronte all'assemblea nazionale e avrà inizio il congresso. La resa dei conti interna, però, è già in corso. Il segretario dem prova a ricucire. "Il verbo del congresso e delle primarie non è 'Andatevene!' ma 'Venite!' – scrive nella sua e-news settimanale – Mi domando come sia possibile fare una scissione sulla data di convocazione del congresso e non sulle idee".
La minoranza rimane sulle barricate. La direzione "ha sancito la trasformazione del Partito Democratico nel Partito di Renzi, un partito personale e leaderistico che stravolge l'impianto identitario del Pd e il suo pluralismo", accusano Roberto Speranza, Michele Emiliano ed Enrico Rossi che si danno appuntamento sabato al Teatro Vittoria, per "costruire un'azione politica comune". "Proseguiremo insieme", assicura Emiliano che invece mette in dubbio che vi "siano ancora gli spazi per un cammino comune" con Renzi.
I toni concilianti del segretario non convincono. "Sono manfrine – viene spiegato – mentre lui ha già lanciato la campagna elettorale". Il riferimento è l'appuntamento dato da Renzi dal 10 al 12 marzo a Torino, al Lingotto, "nel luogo dove nacque il Pd a fare – scrive il tagliando a quell'idea di quasi dieci anni fa". Speranza, Emiliano e Rossi saranno insieme sabato per lanciare l'alternativa, ma – è la voce che circola sempre più in Transatlantico – l'ipotesi scissione rimane sul tavolo, "eccome".
Nessuna fuga in avanti, però. I tre candidati alla segreteria saranno all'assemblea di domenica. La decisione viene prese nel corso di una lunga riunione dell'area bersaniana alla Camera, cui fa capolino proprio il governatore pugliese che fa così il suo 'esordio' in Transatlantico alle prese con i cronisti. Ci sono passi avanti per evitare la scissione? "Per ora non ne vedo, vediamo come finisce la giornata", risponde Bersani al termine del vertice. I tentativi di mediazione, anche se l'ex segretario dem è tutt'altro che ottimista ("Cosa deve fare uno per ricevere una telefonata? – dice riferendosi a Matteo Renzi – Ho fatto il segretario anch'io, so come funziona. Non che basti una telefonata… ma almeno per buona educazione"), sono in corso. Dario Franceschini, Andrea Orlando e Lorenzo Guerini sono a lavoro per evitare che il partito si spacchi "su tempi e conferenze programmatiche, che non conviene a nessuno", spiega uno di loro.
La linea di Renzi non cambia: "la conferenza programmatica è il congresso. Sarà un congresso sui contenuti". I tempi? "Quelli dello statuto, quelli con cui si è fatto l'ultima volta". Una proposta di mediazione arriva quindi dalla riunione dei Giovani Turchi, che si protrae a Montecitorio per oltre un'ora e mezza. L'idea è quella di inserire "un confronto programmatico, nella fase iniziale del percorso congressuale", per ricostruire "un perimetro condiviso prima di avviare il processo di scelta della leadership e per evitare derive scissioniste". Una proposta simile arriva dall'insolito duo Martina-Fassino che immaginano una strada per la quale la Convenzione nazionale – prevista dalle attuali regole del Congresso dopo la fase dei congressi di circolo dedicata agli iscritti e prima del coinvolgimento degli elettori – "divenga pienamente 'Convenzione Programmatica' consentendoci così di rafforzare ulteriormente il nostro comune impegno di analisi, confronto e discussione".
La minoranza, però, non ci sta. La linea, in vista di domenica, rimane quella di "chiudere le primarie a ottobre e votare nel 2018".
Sarà l'assemblea nazionale a decidere. Smentite le indiscrezioni circa una possibile reggenza dello stesso Renzi, le redini del partito dovrebbero andare al presidente Orfini. L'assise dei mille avrà all'ordine del giorno anche una modifica allo statuto che prevede, in caso di decadenza del segretario, di passare la titolarità del simbolo al tesoriere del partito. "Nessuna presa di potere – spiegano i fedelissimi che avrebbero già incassato l'ok della minoranza – è già così nel codice civile, si tratta di trasporre la norma nello statuto dem". Mentre a Montecitorio è tutto un riunirsi di correnti e caminetti, Renzi – quasi a marcare la distanza dal Palazzo – va a sorpresa a Milano, a visitare il partito metropolitano. "Il dibattito interno al Pd – è la convinzione del segretario – non interessa ai cittadini. Ora è tempo di rimettersi in cammino – scrive – è tempo di ricucire il futuro".